Mia e il leone bianco: impariamo a salvaguardare la natura

Direttamente dalla Festa del Cinema di Roma – all’interno della Selezione Ufficiale – arriva nelle sale italiane Mia e il leone bianco, diretto dal regista sudafricano Gilles De Maistre e che, sin dal principio, si presenta come manifesto per la salvaguardia della natura e, nello specifico, della specie dei leoni, diminuiti in maniera preoccupante nell’arco di soli cento anni.

La storia portata in scena dal film è quella della giovane Mia (Daniah De Villiers), una ragazzina di soli undici anni che vive insieme ai genitori e al fratello in un’enorme tenuta, all’interno della quale suo padre possiede un allevamento di felini. La bambina stringe presto un forte legame con Charlie, un rarissimo cucciolo di leone bianco che cresce insieme a lei, ma che, ben presto, diventerà troppo grande e potenzialmente pericoloso per poter vivere a stretto contatto con gli esseri umani.



Un film dichiaratamente per i più giovani, Mia e il leone bianco, ma che si rivela, malgrado gli encomiabili intenti che hanno mosso inizialmente regista e produttori, anche parecchio imperfetto. Soprattutto per quanto riguarda lo script, con snodi narrativi spesso eccessivamente repentini (la stessa amicizia tra la giovane protagonista e il cucciolo di leone, per esempio, nasce quasi di punto in bianco, dopo una sorta di iniziale ostilità).

Se, quindi, nella parte centrale vi sono non pochi momenti gradevoli e ben realizzati che ci mostrano il cucciolo di leone mentre cresce e si diverte con i suoi piccoli amici, man mano che ci si avvicina al finale tutto si fa via via più retorico, più prevedibile, con scelte di sceneggiatura che altro non provvedono che a far perdere di credibilità l’intero lavoro, riducendolo alla stregua di un mero filmetto di intrattenimento pomeridiano da proporre all’interno degli scarni palinsesti estivi.

Ben poco, dunque, riesce ad aiutare la leggenda del leone bianco che spesso viene menzionata nel corso del lungometraggio, in quanto metafora della salvaguardia di madre natura. Un lavoro che, purtroppo, incappa in ogni possibile retorica, senza riuscire in nessun modo ad evitarla.

Ultima considerazione: la celebre aria Lascia ch’io pianga di George Frideric Haendel prima di un evento drammatico sta tanto, troppo a ricordare Antichrist di Lars von Trier. A quest’ultimo, tuttavia, la cosa era riuscita leggermente meglio.

 

 

Marina Pavido