Mollo tutto e apro un chiringuito: la commedia con Germano Lanzoni

Ne ha fatta di strada l’attore teatrale milanese Germano Lanzoni, formatosi nei piccoli cabaret dello stimolante capoluogo lombardo dove negli anni Settanta Diego Abatantuono catturò l’attenzione del compianto giornalista e paroliere Beppe Viola, da quando ha lanciato il personaggio dell’Imbruttito nel quartiere multietnico a due passi dalla via pedonale Paolo Sarpi.

L’approdo sul grande schermo con Mollo tutto e apro un chiringuito, giunto al termine d’un proficuo processo d’incubazione proseguito a furia di battute e segni d’ammicco all’insegna del dialètt milanes, dei luoghi comuni sul mito del profitto, cementato dalla ridicola improntitudine degli imprenditori di successo o presunti tali, già scandagliati appieno dall’esilarante Guido Nicheli alias commendator Zampetti nella serie televisiva cult degli anni Ottanta I ragazzi della 3ª C, riverbera le varianti apportate alla ridda degli spassosi stereotipi giunti alla seconda decade del Nuovo Millennio.

Ma, stringendo, Mollo tutto e apro un chiriguito strappa qualche risata, senza spingere il pubblico minuto di terza media, ed ergo alieno all’ammirazione incondizionata per le battute di spirito giunte in porto, a contorcersi dallo sghignazzo, oppure riesce ad appaiare gli stilemi della comicità demenziale ai tòpoi di quella morale? Certamente l’ingranaggio burlesco oliato step by step, dalla sperimentazione della pagina Facebook dell’Imbruttito ai palcoscenici estranei ai social la cui diffusione virale, ed ergo l’accessibilità istantanea, funge comunque ancora da proficua rampa di lancio, costeggia la comicità morale. Ricondotta alla figura del content creator attento agli input dell’avvincente marketing emozionale per creare dei contenuti attraverso la comunicazione senza intoppi tra destinatari ed emittenti grazie all’accessibilità istantanea dei social. Il punto in questione però è un altro: il passo dal mondo della comunicazione dei social alla scrittura per immagini della fabbrica dei sogni è automatico o paga dazio ad alcune forzature, e quindi agli incubi, che impediscono a Mollo tutto e apro un chiringuito di esibire autentiche virtù parodistiche in conformità con il desiderio di conciliarvi anche l’opportuna contemplazione del reale (perché, si sa, Pulcinella ridendo e scherzando dice la verità)? Idem per il marketing emozionale. La cui affiliazione con la geografia emozionale, tutt’altro che automatica (in quanto è difficile pensare a un buco nell’acqua peggiore d’una farsa rea di prendersi sul serio contemplando le banalità scintillanti dell’infertile e sgradita propaganda), permetterebbe ai territori eletti a location di alzare il tiro alla solita minestra dei top manager delle multinazionali, alle riunioni al servizio degli sviluppi futuri dell’azienda, all’ormai vetusto richiamo a Wall Street di Oliver Stone, al mito dell’aspetto remunerativo.

Con la necessità di fatturare che impedisce a chi si occupa della direzione d’una multinazionale di anteporre all’alto livello di gestione la comprensione delle pause meditabonde, degli eloquenti silenzi, dell’egemonia dello spirito sulla materia. A dirigere invece Mollo tutto e apro un chiringuito provvedono Pietro Belfiore, Davide Bonacina, Andrea Fadenti, Andrea Mazzarella e Davide Rossi. L’affiatamento fuori dalla cabina di (co)regìa prosegue pure dentro il mondo della Settima arte sulla scorta del valore terapeutico dell’umorismo? Senz’alcun dubbio sono parecchi i professionisti chiamati a dirigere le sorti di una megaimpresa, finendo per soccombere allo stress di unire alla logica del guadagno la gratificazione morale per l’idea tradotta in pratica, identificabile nei sogni divenuti realtà sulla scorta della tenacia del cerchiobottismo, che vorrebbero, appunto, mollare tutto, ossia l’ansia, la pressione, lo stress di raggiungere gli obiettivi prefissi, e aprire un chiringuito. Silvio Soldini, smarrendo la solita inclinazione a garantire alla geografia emozionale la parte del leone per innescare grazie alla capacità della natìa Milano di riflettere i turbamenti dell’anima gli effetti di fascinazione e straniamento necessari a imprimere ai suoi film il sigillo d’autore, in 3/19 mostra in modo piuttosto fugace gli uffici, le round table, i grattacieli in cui un esercito di avvocati contrattuali porta avanti delicatissime negoziazioni finanziarie. In Mollo tutto e apro un chiringuito l’effigie dell’eterna Milano da bere, della metropoli rampante, del luogo dell’anima da giustapporre al luogo comune, forte sia dei paesaggi riflessivi sia delle maschere da commedie dell’arte, risulta altrettanto superficiale ed esornativo.

Rispetto al grigiore di 3/19, scambiato da Soldini per una soluzione luministica in grado di andare in profondità, le note di colore presenti sin dall’incipit nella commedia demenziale sull’Imbruttito in chiave dapprincipio Bauscia offrono almeno uno spettacolino buffo. Anche se prevedibile. Il problema è che per cogliere il ridicolo, il più delle volte involontario, connesso all’interazione tra habitat ed esseri umani occorre avere padronanza della comicità visiva. Estranea ai registi per caso. Perciò l’intero esito del racconto, rivernicia le pose dello sbruffone in doppio petto chiamato Er bavetta a Roma e Bauscia a Milano, poggia sulle spalle di Germano Lanzoni. Lo spettacolo quindi di secondo piano della recitazione, vista la rinuncia sottobanco della regìa che alza bandiera bianca ai nastri di partenza, diventa lo spettacolo di primo piano. Lanzoni regge botta. Perché è un comico degno di nota. In alcuni passaggi persino arguto. In quanto imprime il giusto colore a ogni battuta e aggiunge pure un’ombra di mestizia allo spasso del ridicolo involontario e degli strali lanciati contro lo stress della città. Così sembra tutto semplice. La corsa al successo, guidando i cavalli dei padroni del vapore, esacerba il cane nero della depressione. L’imbruttito riprende a parlare a raffica, al riparo dal deleterio mutismo, su sprone del socio e amico Brera. Il business del chiosco da gestire sulla spiaggia della Sardegna, portandosi dietro l’inseparabile collaboratore, con buon pace dei borbottii dell’avvenente ma delusa consorte Laura e del figlio detto Nano con la puzza sotto il naso, gli consente di scoprire una realtà ignota. La comicità di stampo cabarettistico degli incontri, degli scontri, delle dinamiche venutesi a creare con gli abitanti dello sperduto villaggio, estraneo ai princìpi di riqualificazione territoriale, taglia il traguardo dell’opportuna deformazione caricaturale.

Il mancato connubio con la comicità visiva, ridotta all’osso, comporta, al posto della facoltà di moltiplicare gli ambienti e gli elementi ambientali, l’impasse di voler cogliere i frutti migliori dai rami secchi dell’albero preso di mira. Intendiamoci: le risorse espressive offerte dai territori eletti a location di Tratalias e Domus De Maria, coi ritmi scanditi dall’ordine naturale delle cose in netto contrasto con la frenesia che attanaglia la metropoli competitiva, erano infiniti. Mentre il ricalco, sia pure in filigrana, dell’inobliabile Mediterraneo di Gabriele Salvatores, con il rapimento del paesaggio e il divertimento procurato dall’incontro del dialetto milanese con il vernacolo sardo, del fiume di parole con le parole a singhiozzo, della modernizzazione economica sulla paura di essere sradicati dai contesti protettivi sugli scudi, mostra presto la corda. Nonostante l’indubbia efficacia delle figure di fianco dallo sguardo fiero, neolitico quasi, emergono i limiti degli interpreti condannati ai ruoli fissi. Il disegno psicologico trae scarsa linfa dall’eccentricità, o presunta tale, dalle macchiette e dalla fiacchezza del ritmo. Che acquista un po’ di nerbo col ravvedimento del Bauscia di turno. Cospargendosi il capo di cenere, capendo che per incentivare il business del chiosco sulla spiaggia bisogna coinvolgere gli abitanti, anziché tagliarli fuori, Lanzoni snuda persino l’elegiaca acutezza della sottorecitazione. I borghi, le chiese, l’area archeologica, le dune, la sabbia, gli angoli di autentico paradiso, i pascoli, con le pecore, avrebbero meritato tuttavia ben altro spazio. Al contrario dell’arguta commedia In ricchezza e in povertà di Brian Spycer che trova nei territori campestri degli Amish l’humus giusto per abbinare la comicità demenziale alla comicità morale. Mollo tutto e apro un chiringuito, viceversa, non va oltre la prima.

 

 

Massimiliano Serriello