Stasera in tv Ginger e Fred di Federico Fellini, con Marcello Mastroianni e Giulietta Masina

Stasera in tv su Rai Storia alle 21,10 Ginger e Fred, un film del 1986 diretto da Federico Fellini, con Giulietta Masina e Marcello Mastroianni. Ginger e Fred segna l’inizio della collaborazione tra Fellini e Nicola Piovani, collaborazione che il regista vorrà proseguire per tutte le sue opere successive. Scritto e sceneggiato da Federico Fellini, Tonino Guerra e Tullio Pinelli, con la fotografia di Tonino Delli Colli ed Ennio Guarnieri, il montaggio di Nino Baragli, Ugo De Rossi e Ruggero Mastroianni, i costumi di Danilo Donati, le scenografie di Dante Ferretti e le musiche di Nicola Piovani, Ginger e Fred è interpretato da Marcello Mastroianni, Giulietta Masina, Franco Fabrizi, Friedrich von Ledebur, Augusto Poderosi, Martin Maria Blau, Jacques Henri Lartigue. Il film ha vinto quattro David di Donatello (Miglior attore protagonista a Marcello Mastroianni, Miglior colonna sonora a Nicola Piovani, Migliori costumi a Danilo Donati, David René Clair a Federico Fellini), tre Globi d’Oro (Miglior film a Federico Fellini e Alberto Grimaldi, Miglior attore protagonista a Marcello Mastroianni, Miglior attrice protagonista a Giulietta Masina) e quattro Nastri d’Argento (Miglior attore protagonista a Marcello Mastroianni, Miglior attrice protagonista a Giulietta Masina, Miglior scenografia a Dante Ferretti, Migliori costumi a Danilo Donati).

Trama
Amelia e Pippo, in arte Ginger e Fred, avevano avuto successo sui palcoscenici di provincia nei lontani anni Quaranta. Si ritrovano, dopo decenni, per partecipare a un varietà di vecchie glorie organizzato da una televisione privata. Un’esperienza da incubo, ma ai due resterà il piacere di essersi ritrovati per un momento.

“Fellini vive su tre filoni della sua immaginazione: la memoria, l’analisi di costume, il grottesco. Talora li fonde insieme, talora li specifica, li accentua, li fa diventare la dominante di un singolo film. […] Questi filoni sono tutti e tre presenti in Ginger e Fred. Anzitutto la memoria della sua, e nostra, giovinezza, e dei miti di allora (di cui è vittima, senza l’ironia dell’autore, lo stesso personaggio del presidente televisivo) e, in questo film, anche la memoria dei due protagonisti, che si fanno per così dire portavoce della nostalgia dell’autore. In questo film, più che in altri, la memoria assolve, ed è assolta, di fronte alla volgarità del presente. Davanti alla tenerezza del loro ricordo, il grottesco accerchia, minaccia, offende ma non tocca Fred e Ginger e la loro purezza. Quanto ad analisi di costume, apparentemente ce ne dovrebbe essere molta in un film come questo, che appunto vuole mostrare l’invadenza, l’ingordigia, la vacuità, la crudeltà della civiltà televisiva e dei consumi che essa incoraggia. Eppure – e questo è l’aspetto curioso di questo film, peraltro bellissimo – costa fatica definirlo un film di costume sulla televisione. […] Non appena si entra nell’universo televisivo, Fellini preme il pedale del grottesco, e sembra premerlo senza riserve, con odio esplicito, e virulenza. Si capisce certo che Fellini sta parlando della televisione, e della forma invadente che essa ha assunto negli ultimi anni, e del grande spettacolo contenitore in cui si allineano lo scrittore, il parlamentare, il freak, il mutilato, il nano, il ballerino, l’eroico ammiraglio, tutti ridotti a carne da spettacolo, anzi da avanspettacolo, perché lo spettacolo vero è quello degli inserti pubblicitari, grondanti grasso e sugo, viscidi spaghetti e mortadelle artificiali”.
(Umberto Eco)

“Assecondato da due interpreti in stato di grazia, Fellini incarna una vaga accettazione stoica dell’esistenza così com’è, con i suoi dolori e misteri. E c’è perfino, nel risvolto finale, il segno di una fatalistica filosofia del successo, uguale e contraria alla filosofia dell’insuccesso che affiorava in un film come Il bidone. Più che la nostalgia di una vita passata che potrebbe erroneamente sembrare tutta rosa sul filo delle melodie di Irving Berlin, e più che il legittimo e inevitabile rimpianto della giovinezza, si percepisce nel film un’ironica perplessità di fronte all’incomparabile originalità della vita.”
(Tullio Kezich, Panorama, 2 Febbraio 1986)

“Fellini ha fatto un film della maturità alla maniera dei grandi comici: prevale la malinconia, ma il carattere visionario non s’è perso (se il protagonista è come il Calvero di Chaplin, il quadro è un grottesco 1984 visto a posteriori col presentatore al posto del Grande fratello, il ‘1985’ di Fellini). Si vedrà se la prima parte non sia troppo sottotono e prosaica rispetto allo splendore dell’esplorazione dentro il palazzo TV; ma va detto subito che Mastroianni è superbo, irripetibile (lo sguardo profondo di un disperato qualunque, ma anche di un alter ego poetico) e assai brava la Masina, opponendo all’omologazione televisiva la forza più antica della rispettabilità, della banalità più generosa. Forse, in un momento di buio ci daremo la mano.”
(Stefano Reggiani, La Stampa, 14 Gennaio 1986)

“Ponendo il tema dell’imitazione al centro del racconto e ricostruendo quasi tutto in studio, Ginger e Fred è il film migliore che sinora sia stato fatto sull’irrealtà in cui viviamo, codificata dalla TV. C’è da rallegrarsi che sia toccato a Fellini, un maestro del cinema, ricordarci, amaramente giocando, che da un bel po’ siamo tutti dei sosia, e forse è per questo che sulla terra ci sentiamo spaesati. Non sappiamo più a chi dobbiamo assomigliare.”
(Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, 15 Gennaio 1986)

“Dal sarcasmo aggressivo dell’inizio, il film di Fellini plana su un controcanto di tenerezza infinita quasi senza trapassi: la figura di Amalia, gracile, timida ma irriducibile, fuoriesce via via dal contesto, da quello stesso mondo dominato da un’ossessiva e straniante neo-TV e cerca il dialogo al di là del caos con il personaggio di Pippo, magari pagliaccesco, autoassolutorio, sovversivo a parole, figura perenne di perdente non senza una sua romantica aura sublime. Lei e lui sono il volto e il controvolto di Fellini che ne media la distanza e ne fonde i valori in un senso umanissimo del vivere che è pudore, lealtà, dignità, magia di incontri e di affetti. Ed è in questa sintesi che Ginger e Fred tocca la sua grazia estrema, rivela al di là di ogni grottesco e di ogni sarcasmo un commovente afflato di poesia per quella sua capacità di tradurre in forme lussureggianti ma risentite e lucide i propri fantasmi, purificandosene nell’atto in cui li ricorda e li soffre dentro di sé.”
(Alberto Pesce, Oltre lo schermo, Morcelliana, 1988)

 

 

Luca Biscontini