Stasera in tv I cento passi di Marco Tullio Giordana

Stasera in tv su Rai Movie alle 21,10 I cento passi, un film del 2000 diretto da Marco Tullio Giordana dedicato alla vita e all’omicidio di Peppino Impastato, attivista impegnato nella lotta a Cosa nostra nella sua terra, la Sicilia. Il titolo prende il nome dal numero di passi che occorre fare a Cinisi per colmare la distanza tra la casa della famiglia Impastato e quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti. Il film rese note al grande pubblico la storia e la tragica fine di Peppino Impastato, che fino ad allora erano passate praticamente inosservate in quanto Impastato venne ucciso il 9 Maggio 1978, lo stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, in via Caetani a Roma e la tragedia nazionale mise in ombra la vicenda dell’attivista siciliano. I cento passi ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Venezia, cinque David di Donatello, due Globi d’Oro e un Nastro d’Argento. Con Luigi Lo Cascio, Tony Sperandeo, Ninni Bruschetta, Claudio Gioè.

Trama
Negli anni Settanta chi fondava una radio privata e sfotteva i poteri forti rischiava, a Milano o a Roma, un’irruzione della polizia. A Cinisi, Sicilia, la posta in gioco era diversa: era la morte. Peppino Impastato gioca la propria scommessa fino in fondo: figlio di un mafioso di piccolo cabotaggio, nega il sistema di valori paterni e si rifiuta di percorrere “i cento passi” che separano la sua casa da quella di Tano Badalamenti, il boss che può decidere il suo destino.

“Questo non è un film sulla mafia, non appartiene al genere. È piuttosto un film sull’energia, sulla voglia di costruire, sull’immaginazione e la felicità di un gruppo di ragazzi che hanno osato guardare il cielo e sfidare il mondo nell’illusione di cambiarlo. È un film sul conflitto familiare, sull’amore e la disillusione, sulla vergogna di appartenere a uno stesso sangue. È un film su ciò che di buono i ragazzi del ’68 sono riusciti a fare, sulle loro utopie, sul loro coraggio. Se oggi la Sicilia è cambiata e nessuno può fingere che la mafia non esista (ma questo non riguarda solo i siciliani) molto si deve all’esempio di persone come Peppino, alla loro fantasia, al loro dolore, alla loro allegra disobbedienza”.
(Marco Tullio Giordana)

“Marco Tullio Giordana, che di storia del Sud e d’Italia se ne intende, ci fa capire che quella di Cinisi non è una vita normale in un paese normale. Anni di piombo, di menzogne e di paure. Gli anni Settanta, sconquassati dagli sconvolgimenti del ’68; gli appelli di Paolo VI e il rapimento Moro; certezze che crollano, ed altre, ugualmente effimere, che nascono. Ma non a Cinisi. Lì ci sono le famiglie, i sepolcri sono davvero imbiancati, le regole della vita e della morte, del lavoro e della famiglia, sono diverse e governano l’esistenza, che pare immobile. Tutto deve sembrare buono, giusto, onorevole. Nemmeno un aeroporto pericoloso come quello di Punta Raisi, costruito per logiche certamente non attinenti allo sviluppo, alla sicurezza e al buon senso, scuote un paese, questo paese. Mentre, negli animi più sensibili e intelligenti, svegli e irruenti, suona, prima per curiosità poi per impegno, l’allarme della rivolta e della riscossa civile. Anche se può costare caro. È il lato più inquietante, diretto, vero, che questo primo film italiano in concorso riesce a cogliere grazie all’occhio attento, anche se scolastico, di Giordana. Sono gli occhi del suo protagonista – li vediamo, quegli occhi, scrutare le esequie dello zio Cesare con l’arguzia innocente dell’infanzia – Peppino Impastato, che salta in brandelli sui binari della ferrovia e la cui storia è ancora parte in brandelli, con una giustizia – è il caso di dirlo? – ancora barcollante. L’impegno civile di Giordana (co-sceneggiatore insieme a Claudio Fava e Monica Zappelli) è encomiabile, anche se non credo sia imprudente parlare di provincialismo delle nostre storie e del nostro cinema. Talvolta diventa un valore, talaltra una trappola. Gli anni dell’elettrica e contagiosa scossa civile che accompagna l’eroica resistenza morale di Peppino nell’ambiente scivoloso di Cinisi trovano la loro parte migliore nell’indagine dei rapporti intra-familiari. Perché tra gli Impastato – padre, madre, due figli maschi – parole, sguardi, silenzi, affetti e violenze scorrono o esplodono con forte intensità e debito realismo. È vero: I cento passi non è un film sulla mafia anche se parla quasi esclusivamente di mafia. È vero: è un film sugli ideali del ’68, che, diciamolo, ormai appartengono alla storia, e qui se ne fa l’ennesima indagine. È vero: è un film sui rapporti tra persone quando sono volenti o nolenti sottoposti all’imposizione di patologie sociali e culturali come quelle che hanno incancrenito un’isola, una regione, in parte una nazione. Come recitano questi paesani? Forse da noi il dialetto funziona meglio della lingua: cogliere persone del luogo e portarle a recitare “in casa” e storie “di casa” evita le sacche del realismo ma protegge in qualche modo dalla retorica. Non, purtroppo, dal didascalismo. Che si insinua, spesso. ”
(Luca Pellegrini, Rivista del Cinematografo, 31 Agosto 2000)

 

 

Luca Biscontini