Stasera in tv Il bidone di Federico Fellini

Stasera in tv su Rai Storia alle 21,10 Il bidone, un film del 1955 diretto da Federico Fellini, scritto dal regista insieme a Ennio Flaiano e Tullio Pinelli. Il lungometraggio doveva avere come protagonista Humphrey Bogart ma, al momento della convocazione da parte dei produttori, l’attore era già ammalato di cancro (morì due anni dopo, nel 1957) e Fellini dovette ripiegare su Broderick Crawford, vincitore di un premio Oscar nel 1949. Le riprese vennero effettuate nell’estate del 1955 e l’edizione venne frettolosamente terminata pochi giorni prima della presentazione del film alla mostra del cinema di Venezia, avvenuta il 9 Settembre. In una scena del film ambientata in una sala cinematografica romana, è presente il tema dei titoli di testa di un altro film di Fellini, Lo sceicco bianco, musica rieseguita appositamente per il film Il bidone. Con la fotografia di Otello Martelli, il montaggio di Mario Serandrei e Giuseppe Vari e le musiche di Nino Rota, Il bidone è interpretato da Broderick Crawford, Giulietta Masina, Richard Basehsart, Franco Fabrizi.

Trama
Augusto è un truffatore di modesto calibro che agisce in società con Roberto e Picasso. Quando la moglie di Picasso comincia ad avere dei dubbi sull’attività del marito, questi tronca ogni rapporto con i complici. Augusto, invece, che da tempo ha lasciato la famiglia, per aiutare la figlia compie un’altra truffa cercando di intascarsi l’intero malloppo. I suoi nuovi compari non glielo perdoneranno.

“C’è stato un tempo, fra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60, in cui l’Italia si è trovata sospesa sul confine fra condizione arcaica e trafelata modernità e nel momento in cui elementi della prima e della seconda si sono malamente combinati è nata quella distorta forma mentale che fa dell’ambizione ignorante e antropofaga a uno status economico tale da permettere di umiliare il prossimo il motore di ogni azione. Nessuna opera è riuscita a rappresentare questo momento e questa mutazione antropologica come Il bidone di Federico Fellini.

Non fanno sorridere né commuovere, a differenza dei “vitelloni” di provincia, i truffatori spregevoli protagonisti del film. Battono la campagna sterposa del Lazio in cerca di vittime, per ritrovarsi poi a dilapidare il denaro nei bar di Roma ancora spartani, fra Negroni e Campari, nei primi night club, con ballerine e prostitute raccolte ovunque, muovendosi in straordinari “notturni”, fra i più amari del cinema italiano, o in smorte atmosfere albeggianti. È un’anima persa il fatuo Roberto dai capelli ossigenati, che alterna ai raggiri la carriera di mantenuto di signore agiate di mezz’età e sogna di fare il cantante. E lo è, nonostante la complessità e l’incombente sensazione di aver sprecato l’esistenza, il più maturo Augusto. Carlo, il pittore, viene condotto qua e là dal vento di un pensiero magico che ne disperde sentimenti e rimorsi, rendendogli difficile cogliere il male inflitto agli altri. Lo salverà, forse, l’amore tenace della moglie Iris, una Giulietta Masina spogliata di ogni manierismo, gigantesca nella semplicità espressiva, nella delusione e nello sgomento pacato come nella speranza.

Nonostante lo scarso successo del film, considerato un’anomalia nell’ambito della produzione di Fellini e di conseguenza trascurato da pubblico e critica, la sceneggiatura mostra un impianto estremamente raffinato. La trama è solo in apparenza lineare, in realtà viene gestita attraverso una frammentazione interna non lontana dalla costruzione per episodi autonomi presente in tutte le opere del regista. L’uso delle dissolvenze, la sparizione improvvisa di personaggi di primo piano, le cesure temporali, l’ignoto che divora il destino dei singoli, l’indeterminatezza di fondo dei protagonisti, il clima a tratti fantastico, rendono Il bidone un’opera pienamente felliniana.

Fellini racconta l’impostura come disturbo della personalità istrionico e anaffettivo, che preclude l’immedesimazione nella sorte dei disgraziati – considerati inferiori e meritevoli oltre che di inganno anche di derisione poiché poveri e ingenui. Puri e creaturali. Per due volte Augusto incrocia la grazia – quella della figlia e quella della fanciulla poliomielitica confinata su una sedia, figura che prelude alla Paola de La dolce vita, incontrata dall’uomo fuori della casa diruta dei genitori durante l’ultima truffa, più abietta del solito – e per due volte fallisce a causa dell’irresolutezza che lo contraddistingue e degli scherzi del Caso (o della colpa), finendo per morire sul bordo di una strada, ucciso dai nuovi complici, dopo la lunga agonia mostrata dal regista con meticolosità austera, scarnificando ogni movimento fino a raggiungere una poesia tragica che in questo caso lo accosta a Dreyer. Le dita di Augusto che si afferrano al pietrisco calcinato e franoso acquistano il senso di una redenzione impossibile e di una sconfitta esistenziale e morale”.
(Lucia Tempestini, articolo21.org, 1 Agosto 2020)

 

 

Luca Biscontini