Recensione: Due uomini, quattro donne e una mucca depressa

Due uomini, quattro donne e una mucca depressa

Due uomini, quattro donne e una mucca depressa e la sagra della banalità in paese. Nel terzo film di Anna Di Francisca si salva solo il protagonista Miki Manojlovic.

L’arrivo del musicista

Due uomini, quattro donne e una mucca depressa racconta dell’arrivo di Edoardo (Miki Manojlović), un uomo di città italiano, in un piccolo paesino di montagna spagnolo, sconvolgendo la vita degli abitanti proprio come succedeva in Bocca di rosa di Fabrizio De Andrè, ma non in un modo così interessante ed incisivo. Grande compositore musicale e classico artista introverso, il nostro protagonista una volta arrivato finisce con il dirigere il coro parrocchiale per dei motivi personali, migliorando la prestazione canora del gruppo ed indirettamente la vita di ognuno. Un film che racconta di un piccolo e asfissiante cosmo, costellato da troppi  luoghi comuni e banalità, per risultare credibile e per poter mandare un qualsiasi messaggio al pubblico di oggi.

Il paese degli stereotipi

Lenta, noiosa ed inconsistente, la pellicola in questione si prefissa lo scopo di raccontare una storia stereotipata e frutto di un’epoca che ormai non esistete più da decenni, dipingendo le persone di paese come arretrate ed intrappolate nella loro stessa esistenza. Un pensiero ormai troppo distante dalla realtà e che tristemente viene ancora usato da quei film che hanno poco da raccontare e che purtroppo parlano molto. I personaggi che si muovono su schermo non sono altro che delle macchiette e gli approfondimenti sulle loro vite risultano abbozzate ed inserite unicamente per riempire degli spazi narrativi, che altrimenti sarebbero rimasti vuoti. Il protagonista è forse l’unico che riesce a salvarsi da questa maledizione, grazie soprattutto all’interpretazione del serbo Miki Manojlovic (feticcio di Kusturica) che caratterizza il proprio personaggio in modo interessante e visivamente accattivante.

Due uomini, quattro donne e una mucca depressa
Miki Manojlovic è Edoardo

Offensivo, in senso negativo

Una storia spicciola, che si nasconde dietro a delle soluzioni narrative inusuali, come l’utilizzo di una mucca e di una cicogna, che ugualmente non aggiungono nulla e anzi risultano fini a se stessi e spesso imbarazzanti. I luoghi comuni, le maschere e la descrizione quasi bucolica di un paese di montagna, appare offensiva per l’intelletto dello spettatore e per quelle persone che abitano in quelle stesse circostanze e che non posso ritrovarsi nei personaggi e nelle vicende raccontate nel film. La pellicola di Anna Di Francisca sembra quasi voglia dire che gli abitanti dei piccoli agglomerati umani devono per forza attendere il loro salvatore, proveniente magari da una città, per potersi evolvere e per riuscire a migliorare la propria esistenza, altrimenti impossibile da perfezionare. Un pensiero retrogrado, figlio di una cultura antiquata, un insulto a tutti coloro che ancora oggi si vedono vittima di stereotipi e luoghi comuni. Un’opera semplice, che si vuole imporre come sofisticata ed intellettuale, ma che risulta solamente imbarazzante per se stessa e per chi l’osserva, sempre che quest’ultimo non si addormenti prima. Nel cast oltre a Manojlovic e alla spagnola Maribel Verdú ci sono anche il barbiere Neri Marcorè, la sognatrice Ana Caterina Morariu e la governante Serena Grandi.

Due uomini, quattro donne e una mucca depressa di Anna Di Francisca è al cinema dall’8 giugno 2017, distribuito da Mariposa Cinematografica.

Voto 4

di Davide Roveda