L’amante russo: il racconto erotico di una passione travolgente

Ne L’amante russo lei, l’intellettuale Hélène (interpretata dall’attrice francese Laetitia Dosch), è una docente universitaria e madre divorziata, alle prese con un figlio ancora piccolo. Lui, il passionale Alexandre (che ha il volto del ballerino russo Serguei Polunin), è un diplomatico russo sposato.

I due, con le loro vite così diverse, non hanno nulla in comune all’apparenza. Eppure sono legati da una passione irrefrenabile a cui non riescono per mesi a sottrarsi.

Il racconto di questa attrazione travolgente, ai limiti della dipendenza, occupa tutti e novantanove i minuti de L’amante russo, diretto da Danielle Arbid. La regista di origini libanesi prende ispirazione da Passion simple – L’amante russo, libro autobiografico della scrittrice Annie Ernaux che, pubblicato nel 1992 e tradotto in oltre venti lingue, aveva fatto scandalo per i suoi toni fortemente erotici.

Partendo da questa base, la Arbid traduce in immagini di assoluta intensità e sensualità i rapporti carnali su cui si basa una relazione che, in realtà, si rivela inattuabile. Hélène, totalmente prigioniera del suo desiderio, passa ogni momento delle proprie giornate ad attendere l’attimo in cui rincontrerà Alexandre.

Vive per le sue chiamate, per i suoi messaggi, vive di attese e cade in una sorta di ossessione verso un amante che, spostato, può concederle solo incontri clandestini e fugaci nella periferia di Parigi. Perciò il rapporto che si crea tra i due si carica subito di un inevitabile senso di precarietà e fine.

Con i suoi toni intimamente romantici e, insieme, drammatici, L’amante russo sembra voler sospendere ogni giudizio morale sulla storia e le scelte dei suoi protagonisti. Non giudica. Preferisce, invece, esplorare l’amore in quanto brama e desiderio che condiziona e rapisce, in quanto forza che domina e che, pur creando dipendenza come una droga, non trasforma gli amanti in vittime ma li rende protagonisti volontari e attivi del proprio destino.

 

Valeria Gaetano