The Adam Project: viaggiare (e combattere) nel tempo!

Dall’11 Marzo 2022 il catalogo della piattaforma streaming Netflix si arricchisce con l’arrivo del nuovo film di Shawn Levy: The Adam Project. La nascita del progetto va ricercata nel lontano 2012, quando la Paramount Pictures iniziò a ragionare su una sceneggiatura dal titolo Our name is Adam, prevedendo addirittura Tom Cruise come protagonista. Anni dopo l’idea viene comprata da Netflix e affidata al regista canadese.

Il film vanta un cast importante: Ryan Reynolds, Zoe Saldana, Mark Ruffalo, Jennifer Garner e Catherine Keener. Altro aspetto “crea hype” a raggiungere subito le antenne dei cinefili, ancor prima del rilascio del film, è l’argomento trattato, uno di quelli che spesso stuzzicano l’appetito: i viaggi nel tempo. Ma The Adam Project è effettivamente un film sui viaggi nel tempo? Sì, ma non del tutto. Arriviamoci per gradi.

Una sera il giovane Adam (interpretato dallo sbarazzino Walker Scobell) si trova da solo in casa col suo labrador perché la madre (vedova, tanto per cambiare…) esce per un appuntamento. Improvvisamente, la luce in casa va via. Il conseguente comportamento strano del cane, che fugge nel buio della foresta in cui è costruita la casa, insospettisce il ragazzo. Adam decide di seguirlo, inoltrandosi nell’oscurità degli alberi. Lì, fra tronchi recisi e residui arancioni di bruciature in aria, Adam trova un uomo ferito (Reynolds) che chiede aiuto: è il se stesso dal futuro, tornato con un’astronave indietro di trent’anni per sistemare una faccenda. Senza perdersi in elucubrazioni mentali su come sia possibile che una madre lasci da solo un figlio dodicenne, di sera, in una casa enorme e isolata nel cuore del bosco, ciò che si palesa agli occhi è un classico incipit da storia sui viaggi nel tempo. È quello che avviene dopo a spostare il tiro. Shawn Levy ci ha abituati principalmente a commedie: la trilogia di Una notte al museo, Una scatenata dozzina, La Pantera Rosa e così via. Non manca infatti il divertimento in The Adam Project, che sfrutta bene il lato irriverente di Ryan Reynolds, quello che esce meglio all’attore canadese in questo film.

Ma Levy prova a rimpolparlo con altri generi che superano il discorso viaggi nel tempo, inserendo elementi già visti qua e là. Forse una sorta di omaggio a passioni personali? Questo non possiamo saperlo. Tuttavia, certe inquadrature del bambino che trova nel bosco una navicella spaziale ricordano Navigator, film poco conosciuto ai più ma cult anni Ottanta per i “nerd” dei viaggi nel tempo e non solo. E che dire delle spade laser di georgeucasiana memoria e degli inseguimenti volanti tra gli alberi in stile Il ritorno dello Jedi? Le stesse astronavi hanno delle forme che vagamente riportano a Guardiani della galassia, dove, guarda caso, appare la stessa Zoe Saldana. Levy crea un ibrido fantascientifico che, con difficoltà, si livella tra scene d’azione e stralci di divertenti gag, quasi ad ammiccare lo stile dei giovanili cinecomic. Una produzione importante, ricca di esplosioni ed effetti speciali altalenanti, che da un lato rendono bene in certi combattimenti o scene di voli supersonici, dall’altro fanno storcere il naso quando ricorrono all’utilizzo non proprio impeccabile del ringiovanimento facciale in digitale.

Il film però non trova una vera e propria collocazione esistenziale. Laddove, nei primi minuti, cerca furbescamente di estraniarsi da argomenti quali multiverso e infinite linee temporali (vedi Avengers – End Game) o concetti di causa-effetto di logiche spazio temporali (vedi Ritorno al futuro), nella seconda parte il classico “se cambi il passato, alteri il futuro” subentra eccome e il film ci si concede facilmente, contraddicendo un po’ le sue premesse e alcuni sviluppi narrativi. Levy non lascia impronte indelebili. The Adam Project si veste di botti sfavillanti che nascondono i timidi concetti sulla crescita, sul futuro che ognuno si costruisce, l’amore di un genitore che va oltre il tempo, il cogliere l’attimo etc… temi che fanno fatica a sfondare, nonostante la bella sequenza finale in cui padre e figlio (anzi, figli!) giocano a baseball. Ne risulta un film godibile ma adatto più a un passatempo domestico serale (non a caso, Netflix) che ad una visione appassionata in cui ricercare qualcosa di profondo o ingarbugliato che solitamente si attende da un prodotto a base di certe tematiche. Qualcuno potrebbe dire che anche Ritorno al futuro è molto leggero, tutto sommato. Sì, è vero, ma sono quei rari casi in cui la via semplice e chiara viene fatta alla perfezione!

 

 

Alessandro Bonanni