Stasera in tv L’oro di Roma di Carlo Lizzani

Stasera in tv su Rai Storia alle 21,15 (ma disponibile anche su RaiPlay) L’oro di Roma, un film del 1961 diretto da Carlo Lizzani, liberamente tratto da 16 ottobre 1943 di Giacomo Dibenedetti. Il film si basa sui fatti reali del rastrellamento del ghetto di Roma, avvenuto durante la seconda guerra mondiale, nell’Ottobre 1943. Scritto e sceneggiato da Carlo Lizzani, Lucio Battistrada, con collaborazione di Alberto Lecco, con la fotografia di Erico Menczer, il montaggio di Franco Fraticelli, le scenografie di Flavio Mogherini e le musiche di Giovanni Fusco, L’oro di Roma è interpretato da Andrea Checchi, Anna Maria Ferrero, Enzo Petito, Filippo Scelzo, Gérard Blain, Irag Anvar, Jean Sorel, Luigi Casellato, Luigi Scavran, Paola Borboni, Peppino De Martino, Raniero De Cenzo, Tino Bianchi, Tiziano Cortini, Ugo D’Alessio, Umberto Raho.

Trama
Cinquanta chili d’oro da raccogliere in 24 ore per evitare la deportazione in Germania. La comunità ebraica romana riesce a mettere insieme il quantitativo imposto dal maggiore delle SS Kappler, ma viene avviata ugualmente ai campi di sterminio.

“Correva l’anno 1961 quando Carlo Lizzani scelse di raccontare questo episodio ne L’oro di Roma. Nemmeno il canto delle sirene del “miracolo economico” fu in grado di affogare una riapertura dei conti con la Storia recente del Paese che, eclissatasi in buona parte nel corso degli anni ’50, con l’avvento del nuovo decennio esplose sul grande schermo come un secondo tempo ideale del neorealismo, abbracciando -tra molte altre grandi tematiche quali la mafia e la corruzione politica- i tabù del fascismo e la Resistenza. Non ci può stupire che Lizzani si rivelasse una piastrella perfetta nel nuovo mosaico di tensione morale e politica: dopo il suo esordio dietro la cinepresa in tempi non sospetti – vale a dire, ben dieci anni prima – con Achtung! Banditi! (1951), sulle vicende di un gruppo di partigiani genovesi in cerca disperata di armi, prima de L’oro di Roma aveva girato Il gobbo (1960), ispirato alla storia vera del partigiano reggino Giuseppe Albano, “il gobbo del Quarticciolo”, e poi avrebbe messo su pellicola Il processo di Verona (1963).

Nella stesura della sceneggiatura, Lizzani, Lucio Battistrada e Alberto Lecco presero spunto dalla prima memoria scritta della Shoah italiana, 16 ottobre 1943 di Giacomo Debenedetti (1944). Anche se il film si prende certe licenze artistiche – condensa in pochi giorni simbolici le tre settimane trascorse tra il ricatto e la retata del “sabato nero” -, è fedele agli eventi storici, concentrandosi nel processo di raccolta dell’oro, e coglie con freschezza e pathos lo spirito dell’opera letteraria, a cavallo tra la testimonianza diretta e il racconto. Per questa ragione, L’oro di Roma diventa un prezioso baluardo della memoria collettiva del Paese, da conservare con cura nello scrigno del nostro cinema sulla Seconda guerra mondiale e la Resistenza – quella che Pier Paolo Pasolini annoverava tra le poche “esperienze democratico-rivoluzionarie del popolo italiano” -, al livello (l’elenco si potrebbe allungare all’infinito) di Roma città aperta e Il generale Della Rovere (Roberto Rossellini, 1945 / 1959), Il terrorista (Gianfranco de Bosio, 1965) o I sette fratelli Cervi (Gianni Puccini, 1968). E lo fa vagliando la “grande Storia” alla luce dei destini incrociati del professor Ortona (Andrea Checchi) e sua figlia, Giulia (Anna Maria Ferrero), studentessa di medicina che potrebbe sottrarsi alla deportazione, di Rosa (Paola Borboni), madre di cinque figli maschi, e suo fratello, Simone (Luigi Scavran), panettiere senza licenza, del presidente (Filippo Scelzo) e dei rabbini (Raniero De Cenzo, Umberto Raho). E, con loro, di altre migliaia di piccole, immense storie nel ventre di una Roma dalla bellezza dolente, sublimata dalla fotografia di Erico Menczer.

Lizzani non scivola né sul pietismo né sul sentimentalismo, grazie a un efficace polso narrativo e al cast straordinario che dà vita a una manciata di esseri troppo umani che si ritrovano a fare i conti con la Storia sulla propria pelle, in un momento – come si evince dalla documentazione disponibile, che il regista raccoglie con grande sensibilità – in cui la comunità ebraica si illuse fatalmente che a Roma non avrebbero avuto luogo gli eccessi avvenuti in altre zone d’Europa, sui quali, inoltre, avevano delle informazioni molto frammentarie”.
(bellisporchiecattivi.com, 24 Settembre 2021)

 

 

Luca Biscontini