La notte del giudizio:Election Year, la recensione

 

Il terzo capitolo

Siamo giunti al terzo capitolo della trilogia di terrore e del manifesto più puro dell’anarchia, che vede alla regia il promettente James DeMonaco. Nuovo sbarco al botteghino del 2016, ”La notte del giudizio: Election Year” ha già fatto parlare di sé, dividendo i fan della trilogia in pareri positivi e negativi.

Durante una notte di sfogo, la senatrice Charlie Roan perde tutta la sua famiglia a causa di un omicidio. Diciotto anni dopo, si propone di mettersi in gioco; se, in concorrenza agli altri politici, verrà eletta dai cittadini, si porrà fine al più grande massacro di tutti i tempi: lo sfogo annuale. Nel mentre, gli stranieri giungono in America per assistere e partecipare all’evento e il popolo è in ribalta. Gli avversari politici della senatrice si metteranno in combutta e programmeranno la sua morte durante la fatidica notte, così per evitare la nuova legge della donna e continuare nella liberazione annuale dai peccati. A proteggere Charlie, ci penserà l’ex sergente Leo Barnes, già visto in ”Anarchia” e che ritroviamo qui con piacere. Ad essi, si mescoleranno le vicende di varie persone fino a farli riunire in gruppo per combattere contro le forze del male dallo sfogo scatenate; qui, l’azione avrà il via.

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DeMonaco torna alla ribalta con un terzo film che intrattiene, ma non colpisce.

Esso riesce ad avere sbalzi di temperatura dovuti a grossi picchi di azione, scene tinte di un rosso che abbonda e slow-motion che adornano i movimenti dei personaggi, ma nonostante le poche caratteristiche positive che ci dona come queste ultime citate, delude le aspettative in maniera molto ingombrante.

Il film si riduce ad essere schematico, un’accozzaglia stilizzata di buone idee trascinate in un impeto di azioni futili.

Si inizia con qualcosa di lineare, calmo e lento che ci fa addentrare poco a poco nell’inferno che verrà poco dopo, ma qui si tratta di un inferno alla deriva, che non vede la propria luce come dovrebbe e non inquieta, non violenta e non stupisce.

Nel mezzo della pellicola, si vede prendere una piega più avventurosa, più attiva e accogliente, ma tutto scade in ciò che il film in realtà è: tutto un rumoroso giro di pallottole.

L’unica nota positiva è, oltre ai momenti di attesa, i colpi di scena evidenti e sommari momenti di avvenimenti pregni di sadismo e perversione, la presenza del già visto Frank Grillo, che ci fa risentire un po’ ”a casa”.

In sintesi, ”Election Year” è un lavoro puramente deviato, che riflette la società in cui viviamo e la vera realtà che ci si potrebbe ritrovare dinanzi in un futuro che è ormai già distrutto. La morale è quella di un’umanità morta, di una speranza che cerca di vivere nel girone della morte.

Ma, con rammarico, oltre alla piega e alle morali tendenzialmente politiche e all’evidente e giusta critica sociale, non è altro che un prodotto che poteva benissimo essere evitato come la peste. Per quanto l’originalità non si sia del tutto persa, è forse arrivato il momento di mettere fine alla ”notte del giudizio”, che è divenuto ormai soltanto una botta fresca per il botteghino con l’intento di distrarre, ma non di farsi ricordare.

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