Recensione: I figli della notte, thriller opera prima di Andrea De Sica

I figli della notte

Arriva in sala, dopo essere stato in concorso all’ultimo Torino Film Festival, I figli della notte, interessante opera prima di Andrea De Sica, sorta di “thriller di formazione”.

Due ragazzi isolati in un collegio per ricchi

Ne I figli della notte, quando si è adolescenti e si è molto ricchi, uno dei problemi più grandi può essere dato dalla solitudine e dalla mancanza di attenzione che si cerca di ottenere in ogni modo (anche con gesti estremi) da quel mondo degli adulti che pare non volere o non riuscire a comprenderli. Da qui ne esce un film davvero intrigante, unico italiano in concorso al Torino Film Festival, quello d’esordio di Andrea De Sica, figlio d’arte di terza generazione: suo nonno era Vittorio De Sica, e lui è figlio di Manuel (fratello maggiore di Christian), il musicista scomparso nel dicembre di due anni fa, e della produttrice Tilde Corsi. In questa sua opera prima narra la storia di un ragazzo di 16 anni (Vincenzo Crea) che sopravvive alla solitudine e alla disciplina di un collegio maestoso in perfetto stile asburgico per rampolli dell’alta società nell’Alto Adige (a Dobbiaco), i futuri dirigenti dallo Stato, grazie a un amico (Ludovico Succio) che si trova con lui. È una generazione che al cinema non esiste, quella dei giovani abbienti. La ricchezza non è solo un lusso. C’è un senso di isolamento, di claustrofobia. Internet imbavagliato, telefono concesso solo 30 minuti al giorno, episodi di nonnismo conosciuti ma non repressi. E c’è il sentimento dell’abbandono simboleggiato dal collegio, circondato dalle montagne, una prigione dorata dalla quale non puoi fuggire, ma solo studiare e formarti per un luminoso avvenire. E in questa solitudine, come in uno squarcio di luce nelle tenebre, una misteriosa casa nel bosco, i rossi cuori al neon accesi nella notte, una sorta di casa di Hansel e Gretel a luci rosse.

Una favola nera con due ottimi protagonisti

Ed è così che il film mescola i generi, una favola nera che guarda a Lynch, Bellocchio, e che cita esplicitamente Kubrick a partire dall’ambientazione, il Grand Hotel Dobbiaco, antica struttura in stile asburgico che ospita le Settimane Musicali Malheriane, che nel film si trasforma in una sorta di Overlook Hotel di Shining («ci parlavano di fantasmi al Gran Hotel già prima del nostro arrivo, mi divertiva avere un corridoio della scuola con gli stessi colori» racconta De Sica) in cui si muovono i due bravissimi protagonisti, Vincenzo Crea, magrissimo e psicologicamente emotivo, timido e molto intelligente, messo in collegio dalla madre, vedova e business-woman, evidentemente con poco tempo da dedicargli, e Ludovico Succio, scelti tra mille aspiranti e molto bravi nel gestire una storia non facile, estremamente impegnativa, fatta di sguardi e di poche parole. I loro personaggi, Giulio ed Edoardo, arrivano nella struttura destinata a trasformarli nella “classe dirigente del futuro” che nel pacchetto offre anche una trasgressione controllata, a tariffario, amore a pagamento, ma non solo a pagamento. Perchè alla fine ci si può anche innamorare. Niente però è davvero come sembra, né la sicurezza trasgressiva dell’amico Edoardo (Ludovico Succio) che si spinge verso la libertà facendosene poi atterrire, né la scoperta dell’amore vero con la sensuale e bellissima Elena (Yuliia Sobol), che ai sentimenti preferirà sempre il proprio concreto interesse. Il tutto in un alternarsi di colori in pieno contrasto, quasi a simboleggiare l’eterna lotta tra  bene e il male, il bianco del collegio e il nero della notte/i peccaminose, il tutto accompagnato da una musica che sa mescolare mirabilmente generi diversi: da quello sacro a Ti sento dei Matia Bazar, a Vivere di Pavarotti, a momenti di disco scatenata, che contribuiscono ad accompagnare piacevolmente lo spettatore dall’inizio alla fine, in una storia che ti entra dentro e non ti lascia. Nei suoi quasi novanta minuti di alta tensione, in un’atmosfera sospesa tra il sogno e la realtà (che è spesso un incubo), dove la suspense fa il suo gioco (o più di uno) di pari passo con le emozioni e niente è scontato.

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Ottimo esordio per Andrea De Sica

«L’idea del film parte dall’esperienza diretta di persone a cui sono affezionato, che si sono ritrovate a vivere in collegio, luogo decisamente anacronistico nel duemila. Quel che mi interessava – spiega Andrea De Sica, nell’incontro con la stampa – e mi apparteneva, era raccontare il senso di abbandono che si prova a sedici anni, un momento in cui non abbiamo una forma decisa e in cui possiamo compiere scelte che marchiano la nostra vita in modo indelebile. Cercavo una storia di formazione che contenesse elementi di provocazione: via i buoni sentimenti, via le battute spiritose. Volevo raccontare un percorso borderline che non appartenesse necessariamente alle periferie ma riguardasse giovani ben inquadrati nella società. Questa storia d’amicizia mi è sembrato naturale legarla poi all’idea di cinema che ho in mente, il risultato è stato spostare il confine da una storia di adolescenti a un film di genere». De Sica riesce nel suo intento e con una grande maestria, pur essendo al suo primo film, è stato capace di realizzare una storia che convince e che conquista. Gli adolescenti di cui ci racconta sono dei privilegiati ed hanno problemi ‘da ricchi’, questo è evidente, ma dentro quel collegio diventano come tutti gli altri, perché il ‘fuori’ viene messo da parte e c’è spazio solo per (ri)trovare se stessi. Quel che conta davvero è fare delle scelte in quel posto difficile che è poi il simbolo delle non semplici relazioni tra genitori e figli, oltre che del passaggio dall’infanzia all’età adulta, ai primi amori, alle prime inevitabili delusioni sentimentali e non solo. Tutti loro, in maniera diversa, ma solo per piccoli dettagli, vivono quel periodo particolare dove o si muore o si sopravvive, un’età indefinita dove tutto è ancora possibile, ma che spesso è segnata da esperienze capaci di trasformare il proprio destino. A volte per sempre.

I figli della notte, girato in cinque settimane, è stato sostenuto dalla IDM Film Commission dell’Alto Adige, è prodotto da Vivo Film Srl con Rai Cinema (c’è anche in coproduzione la belga Tarantula) e distribuito da 01 Distribution con uscita prevista per il 31 maggio 2017.

Voto 8

di Galgano Palaferri

(impaginazione Ivan Zingariello)