Recensione: Dancer, gioie e dolori del ragazzaccio della danza

Il bad boy della danza e l’enfant terrible del balletto, per la stampa. Lo straordinario ballerino che, diretto da David LaChapelle, ha volato sulle note di Take me to church di Hozier in un video che conta più di ventidue milioni di visualizzazioni. Ma, più di ogni cosa, un giovanissimo ragazzo tormentato. Un danzatore in bilico tra un talento straordinario che lo ha reso indimenticabile e il bisogno travolgente di aggrapparsi a una vita normale. Questo ragazzo, questo danzatore si racconta in Dancer di Steven Cantor.

Nato e cresciuto a Cherson, nel sud di un’Ucraina degli anni Novanta dove tutti sono poveri, Sergei Polunin deve la sua istruzione alla famiglia. Al padre e alla nonna, partiti alla volta del Portogallo e della Grecia per guadagnare i soldi necessari agli studi. Alla madre, che lo ha accompagnato ovunque, fino a quell’audizione a Londra che ne ha fatto il più giovane primo ballerino della Royal Ballet School londinese e lo ha buttato tra le gioie e i dolori di un successo planetario.

Scorrendo le immagini di un repertorio inedito e ascoltando le parole sofferte di Sergei, degli amici e dei familiari, si assiste al racconto di una carriera pazzesca che, spiazzando, ha il gusto del dramma più che della favola. Un dramma interiore che prende forma attraverso l’uso di droghe, gli eccessi e la sregolatezza e che costringe Sergei a vivere prigioniero di un corpo che danza. Da qui, la shockante decisione di abbandonare la Royal Ballet, la caduta negli abissi, il perdersi e il ritrovarsi meravigliosamente, danzando sulla musica di Hozier. E, senza mai scadere nel tono didascalico, la determinazione, l’odio, la rabbia, la amore, la dignità e la fierezza di Sergei conquistano lo spettatore e lo trascinano in un vortice di sensazioni che diventano quasi tangibili. Ne viene fuori l’immagine intima, profonda e sofferta di un ragazzo dal talento straordinario che, di quel talento, ha conosciuto troppo presto il prezzo.

Guardando Dancer si ha perciò la sensazione di non essere davanti a un documentario biografico sulla vita di un artista. Perché, mentre si racconta e viene raccontato, Sergei prima che la star ci fa vedere l’uomo. Prima del successo, ci mostra il suo costo. Prima dell’ascesa ci mostra il sacrificio, il crollo e la sofferenza. Prima della felicità, ci fa sentire l’amarezza, l’angoscia e la disperazione. Prima del corpo, ci mostra la sua anima. E quando in scena vanno le emozioni, vale sempre la pena assistere allo spettacolo.

Valeria Gaetano