Chesil Beach – Il segreto di una notte: un amore a metà

Vero e proprio caso letterario degli ultimi anni, il romanzo Chesil Beach, scritto da Ian McEwan, è presto diventato anche un prodotto per il cinema, per la regia di Dominic Cooke; il quale, solito operare in ambito teatrale e televisivo, al fine di realizzare questa sua opera prima si è avvalso della sceneggiatura adattata dallo stesso McEwan.

Eppure, si sa, quando si tratta di parlare di sentimenti con un’importante e approfondita indagine psicologica dei personaggi è molto facile che la cosa riesca piuttosto bene sulle pagine di un libro, ma che, purtroppo, risenta parecchio – proprio a causa di questa forte interiorità – sul grande schermo. Ma andiamo per gradi.

Florence (Saoirse Ronan) ed Edward (Billy Howle) sono belli, giovani, innamoratissimi e con tante speranze per il futuro. Lei è una promettente e ambiziosa violinista, proveniente da una famiglia benestante, lui, invece, è un brillante studioso di storia, di famiglia piuttosto indigente. Ostacolati dai genitori di lei, i due riusciranno comunque a difendere il loro amore fino alle nozze. Sarà, dunque, all’interno di una stanza di hotel, immediatamente dopo il matrimonio, che avrà luogo il loro confronto più importante.

La storia qui messa in scena – con frequenti flashback a illustrarci le varie tappe dell’amore tra i due protagonisti – ci mostra come i falsi perbenismi e le forti barriere morali di un’epoca possano distruggere anche le cose apparentemente più forti. E, in tal caso, grazie anche alle interpretazioni dei due attori, particolarmente delicati e ben riusciti sono i momenti riguardanti il passato della coppia.

Improvvisamente, però, durante la seconda metà del lungometraggio il tutto prende una piega diversa: i ritmi vengono accelerati, la messa in scena si fa più raffazzonata (con tanto di trucco posticcio e poco credibile al fine di mostrarci i due protagonisti da anziani) e l’intero lavoro risulta, di conseguenza, discontinuo e poco bilanciato, perdendo irrimediabilmente di efficacia.

A poco servono, dunque, un importante commento musicale – che segue, imponente ma mai invasivo, passo passo i due ragazzi nella loro quotidianità – così come una fedele e riuscita ricostruzione degli anni Sessanta.

Quindi, questa opera prima di Dominik Cooke testimonia la scarsa esperienza del regista dietro la macchina da presa e risente eccessivamente di un’altra opera, il romanzo, che, proprio a causa della sua forte risonanza, finisce per offuscare anche la sua trasposizione cinematografica.

 

 

Marina Pavido