Le invisibili: le senza fissa dimora francesi alla riscossa

Le invisibili di Louise-Julien Petit racconta la triste e tragica storia di tante senza fissa dimora francesi, facendoci però ridere dall’inizio alla fine.

Il titolo ricorda quello di una bella trasmissione televisiva condotta da Marco Berry che ci portava a conoscere le tristi storie di persone che, per le ragioni più disparate, avevano perso tutto nella vita e si ritrovavano a vivere per strada, con l’aiuto dei servizi sociali.

Ispirandosi al documentario Femmes invisibles – Survivre à la rue” e al libro Sur la route des invisibles – Femmes dans la rue, entrambi di Claire Lajeunie, il regista Louise-Julien Petit confessa che, quando ha scoperto dalla sua autrice l’enorme divertimento che aveva tratto incontrando queste persone per il testo, si è fortemente incuriosito e, in breve, ne ha acquistati i diritti per farne un film.

Ma non un film strappalacrime , bensì una fantastica commedia che vede protagoniste le vere invisibili francesi, ora osannate come delle star in Francia. Il paradosso di come un prodotto cinematografico e un bravo e giovane regista possano davvero invertire magicamente un processo distruttivo e ricreare l’attenzione su persone che incontriamo ogni giorno e cerchiamo sempre di evitare.

La scelta di un immaginario di homeless fatto da donne che effettivamente rappresentano il 40% nel paese transalpino è stata, senza dubbio, vincente, in quanto le senza dimora francesi sono le più disparate e la forza de Le invisibili sta proprio nel farci accettare un gruppo di figure femminili non più giovani e decisamente poco attraenti che, nel giro di meno di due ore, vengono rese bellissime anche agli occhi degli spettatori più intransigenti.

Curioso il fatto che il regista non abbia negato che la sua fonte d’ispirazione sia molto italiana e legata ad una certa commedia (come non ricordare Brutti sporchi e cattivi?), a cui poi mischia sapientemente la dose di neorealismo nostrano utilizzando, dopo una complicata selezione, delle vere senza dimora che, all’inizio riluttanti, hanno poi deciso di partecipare al progetto.

E risulta davvero difficile cercare di scrivere una critica cinematografica ad un film costruito in modo assolutamente perfetto, perché Petit non solo compie un miracolo trasformando delle storie tragiche in commedia, ma riesce a portare le sue protagoniste ad un grado di empatia con gli spettatori (e con il critico) tale che, all’uscita dalla sala, si guardano inevitabilmente con occhio diverso e meno sospettoso i nostri senza fissa dimora.

Va poi dato atto al film di mostrarci anche un sistema di accoglienza e sostegno francese tutt’altro che perfetto, facendoci comprendere, in un certo senso, l’avanzata populista e i tanti gilet gialli che scendono in piazza ogni sabato. La tragica possibilità di essere esclusi dal tessuto sociale a causa della perdita del lavoro e di scendere rapidamente la china a cui si lega anche la depressione è davvero veloce e terribile.

Vengono mostrati gli sforzi delle assistenti sociali (interpretate dalle attrici professioniste Audrey Lamy, Corinne Masiero, Noèmie Lvovsky e Dèborah Lukumuena) di un centro diurno, le quali tentano in qualche modo di aiutare le loro donne, la chiusura del posto con la vicina perdita dei fondi, lo sgombro del campo e del centro stesso da parte della polizia e l’invio delle donne in uno molto più lontano.

Si tratta di uno dei momenti drammatici dell’insieme, che ci svela anche una certa brutalità nei confronti di cittadine che hanno perso tutto, ma non la dignità.

Un insieme che sarebbe veramente ingeneroso definire buonista, in quanto fin troppo vero, anche attraverso tutti i momenti di comicità (a volte involontari) delle sue protagoniste.

Un insieme che ricorda molto anche le pellicole di Ken Loach, a differenza del quale, però, Louis-Julien Petit, quasi senza volerlo, è stato capace di andare oltre, finendo lui stesso travolto dal successo delle sue senza fissa dimora, le quali ora godono di uno status di notorietà incredibile: girano la Franca promuovendo il film e sono state ospiti a cena dal presidente Macron.

Senza parlare del fatto che, dopo la visione de Le invisibili, il sindaco di Parigi ha immediatamente preso in carico l’apertura di un nuovo centro per sostenere le persone e cercare un reinserimento nel tessuto sociale.

Sarà lo spirito della rivoluzione che scorre nel sangue dei francesi, ma dobbiamo ammettere che raramente un lungometraggio era riuscito a cambiare politicamente in modo concreto una situazione che nessuno voleva vedere.

Vi lasciamo, quindi, con il consiglio  di andarlo a vedere, per riflettere a fondo sulla tematica che ci coinvolge tutti, con buona pace di Richard Gere, che aveva provato ad affrontare l’argomento, e anche del bravo Marco Berry.

 

 

Roberto Leofrigio