Irréversible di Gaspar Noé entra nell’archivio di Prime Video

Tener desta l’attenzione è una delle prerogative di qualunque regista. Sia esso un mestierante che intende sfruttare i filoni di successo o un intellettuale eletto ad autore con la “a” maiuscola. È appena entrato nell’archivio di Prime Video il film cosiddetto scandalo di Gaspar Noé: Irréversible, del 2002.

I cinefili di provata fede, ostili al carattere di presa immediata dei prodotti d’intrattenimento, non vedono l’ora. Il pubblico dai gusti semplici, che già ha capito poco o niente della trama incentrata sull’alta finanza della serie televisiva Diavoli con Alessandro Borghi nel ruolo di uno squalo simile a Michael Douglas alias Gordon Gekko in Wall Street, già storce la bocca all’idea all’ennesimo rompicapo. Gli spettatori, scevri tanto dalla ridicola boria degli apprendisti intellettuali quanto dall’impasse dei giudizi aprioristici, scrollano le spalle.

In medio stat virtus? Questo è poco ma sicuro. Il tema del piacere, della soddisfazione personale ravvisabile nei bassi istinti, lontano persino dall’empio agire economico, rende certamente Irréversible degno di divenire oggetto di studio. Ed ergo lo pone in riparo da chi lo accusò, quando venne presentato in concorso alla cinquantacinquesima edizione del Festival di Cannes, di propinare una noia di piombo e rendere il sesso, di per sé una cosa bella, una barba. Com’è successo ad alcuni cineasti avventizi ossessionati dalle teorie dei riveriti maestri. Gaspar Noé può piacere o non piacere: ogni capoccia è un tribunale, recita un vecchio adagio romanesco. Stigmatizzato con rabbia bizzarra dai critici che prendono fischi per fiaschi credendo di afferrare i significati più trascendentali del messaggio filmato; tuttavia sa il fatto suo. Ovvero passa dalla teoria alla prassi senza avvertire l’imbarazzo dei velleitari. Lo dimostra anche il suo recente Climax. Nei confronti del quale si possono muovere tutte le obiezioni di questo mondo, o anche di altri, ammesso che esistano, tranne quella di menare il can per l’aia. Il chiodo fisso resta il rapporto tra odio e amore. Estendibile alle eterne contese tra eros e thanatos nel celebre saggio Al di là del principio di piacere di Sigmund Freud. Un argomento sviscerato pure in precedenza sotto diverse forme. Mentre in Climax la messa in scena dell’estasi dei drogati che traligna in un autentico inferno tradisce l’uso ridondante delle tecniche di straniamento, con movimenti di macchina e piani-sequenza rivelatori ed enfatici, nel vecchio e discusso cavallo di battaglia, tramutato in tendenza di punta dai molti sostenitori aprioristici di Noé, il discorso è diverso.

L’egemonia in Irréversible del cupio dissolvi sull’amor vitae, vale a dire della pulsione di vita sulla pulsione di morte, trae partito dall’esempio di capolavori diametralmente opposti tra loro. Da 2001: Odissea nello spazio ad Arancia meccanica. Da Ultimo tango a Parigi a Memento. Il richiamo citazionistico, anziché fermarsi in superficie, si va ad aggiungere sia alla gelatina dei segni di ammicco sia alla polpa della densità contenutistica. La gelatina, ravvisabile nelle componenti manieristiche del realismo fenomenico di una scrittura per immagini attinta al concetto mordi e fuggi dello spot televisivo, nuoce alla trama. Che, se dispiegata in chiave cronologica, stramazzerebbe nel ridicolo involontario quando le dice bene. Nell’inappellabile tedio allorché persino le risate, dovute all’effetto collaterale dell’amor di sé da parte dell’artefice, a corto di autoironia, prendono congedo. La polpa garantita dalla ricerca del tempo perduto cara a Marcel Proust salva, invece, la trama. Trasformando, nel partire dalla fine per approdare all’inizio, un approccio noioso in un imprinting accattivante. La cattiveria, viceversa, dei personaggi, che giudicano gli antagonisti carne da cannone, ora nella contesa violenta, ora nella sublimazione libidica, tocca l’acme chiudendo il cerchio. Con la scena famigerata, come direbbe Tom “Iceman” Kazinsky in Top gun, dell’orrido stupro perpetrato ai danni della povera Alex prima di lasciare il posto a un massacro ai limiti della sostenibilità emotiva. Nulla da eccepire al riguardo, nonostante la saccente pruderie dei moralisti autoproclamatisi Catoni moderni ed eterni: l’estetizzazione della violenza, al modello glamour e giocondo condotto in auge dall’anarcoide Tarantino, che mette Jean-Luc Godard e Ruggero Deodato sullo stesso piano, nonostante il disappunto dei seguaci del livellamento ugualitario a chiacchiere, nonché delle distinzioni di comodo nei fatti, antepone il lirismo virile di Sam Peckinpah.

Il Sam Peckinpah in grado d’influenzare il compianto Michael Cimino nella nota sequenza della roulette russa e in quella della caccia al cervo nel controverso cult movie Il cacciatore. L’impasse risiede tuttavia nel fiato corto del risultato finale. Convincente nel dinamismo dell’azione esibendo la cifra dell’odio alla maniera di John McNaughton in Henry – pioggia di sangue. Senza fronzoli od orpelli inutili. Allo scopo di riuscire ad appaiare il dinamismo della cinepresa al vigore dell’azione violenta. Deludente nella ripresa fissa. Non perché non permanga traccia del buon cuore della vittima, impersonata dall’avvenente Monica Bellucci, bensì perché la ripresa fissa di undici minuti allunga il brodo nell’inane, se non vanagloriosa, speranza di cementare l’ambita aura contemplativa. Ma a quel punto la soglia dell’attenzione d’ogni fruitore, munito di licenza elementare o provvisto di due lauree conseguito il bacio accademico in fronte dei professori emeriti, risulta in fase calante. Sottolineando il tallone d’Achille: la durata. Nel mediometraggio, col mockumentary Lux Æterna sugli scudi, ma anche in altri titoli che sono tutto un programma tipo Intoxication e Carne, imperniati sulla mercificazione del piacere, Gaspar Noé va dritto al punto. In Irréversible Monica Bellucci appare, al contrario, orfana dell’umorismo dimostrato in I mitici – Colpo gobbo a Milano di Carlo Vanzina. Gaspar Noé sembra, come in tutti i lungometraggi che ha diretto, non voler rinunciare né al sacro né al profano. Col risultato di banalizzare il male dopo averlo esaltato.

 

 

Massimiliano Serriello