Stasera in tv Memorie di un assassino di Bong Joon-ho

Stasera in tv su Rai4 alle 00,00 Memorie di un assassino, un film del 2003 diretto da Bong Joon-ho. La pellicola è l’adattamento cinematografico dell’opera teatrale Come to See Me di Kim Kwang-lim, ispirato alla storia vera del primo assassino seriale coreano conosciuto, attivo fra il 1986 e il 1991 a Hwaseong, nella provincia di Gyeonggi. Il film si è rivelato uno dei migliori film sudcoreani degli anni 2000: è stato infatti un successo strepitoso in patria con oltre cinque milioni di spettatori e si è aggiudicato svariati riconoscimenti in festival cinematografici internazionali, fra i quali San Sebastian, Tokyo e Torino. Con Kang-ho Song, Kim Sang-kyung, Kim Roeha, Song Jae-ho.

Trama
Il film si ispira alla vera storia del primo assassino seriale coreano conosciuto, attivo fra il 1986 e il 1991 a Hwaseong, nella provincia di Gyeonggi. Rimasto a lungo un caso irrisolto, nel 2019 Lee Choon-jae, condannato all’ergastolo nel 1994 per l’uccisione della cognata, ha confessato di aver commesso altri quattordici omicidi e trentun stupri o tentati stupri. Ha confessato nove dei dieci omicidi avvenuti a Hwaseong, mentre il decimo era da sempre attribuito a un imitatore. Alla notizia, il regista Bong ha commentato: «Volevo davvero vedere la sua faccia: ho anche provato a immaginare il suo volto e a disegnarlo. Avevo persino una lista di domande che ero pronto a fargli nel caso mi fossi imbattuto in qualche modo in lui. Finalmente ho potuto vedere il suo volto pubblicato sui giornali: guardarlo mi ha fatto provare sentimenti complicati».

“Tratto dal romanzo Come and See Me di Kim Kwang-rim e basato sulla storia vera del primo serial killer coreano conosciuto, attivo fra il 1986 e il 1991 a Hwaseong, nella provincia di Gyeonggi. Bong Joon-ho ne ha realizzato un film crudo e profondo, raffinato e robusto, con una messa in scena che coniuga una forza spropositata e un’eleganza altrettanto ragguardevole. Una delle opere coreane più viste in patria nei primi anni del nuovo millennio, la pellicola di Bong, sotto la superficie del thriller poliziesco e d’atmosfera, addensa le ombre di un paese e le contraddizioni di una prassi investigativa che, esattamente come il potere costituito, molto spesso non rispetta l’autenticità dell’individuo. L’indagine, così aleatoria, ripiegata su se stessa e priva di solide basi, si fa così metafora di un quadro politico sfuggente, e le memorie del titolo stanno a indicare l’impossibilità di mettere ordine tra i frammenti di qualcosa che pare già irrimediabilmente perduto. Il film gestisce con mano sicura tanto i momenti narrativamente più complessi, maneggiati con maestria e insospettabile lirismo, quanto le divagazioni di una pellicola che talvolta cambia pelle e tono, sfociando nel comico a tinte forti, nella smitizzazione degli stereotipi del thriller investigativo e dei suoi caratteri tipici. Finale di clamorosa bellezza, con uno sguardo in camera conclusivo che non si dimentica”.
(LongTake)

“La sceneggiatura, complessa, perfetta, stratificata, tesissima, è un perfetto lavoro di scrittura cinematografica e sembra quasi uscire da un’opera di Naoki Urasawa (Monster su tutti), mentre le scenografie diventano co-protagoniste degli eventi (come accadrà in forma ancora più evoluta nel successivo Parasite); se l’inizio sospeso tra campi sconfinati è suggestivo come le ambientazioni di Riflessi sulla pelle di Philip Ridley, il film raggiunge il suo climax in una sequenza magistrale e indimenticabile ambientata in un’affollata cava di pietra in notturna, grandioso esempio di gestione degli spazi e dei rapporti di sguardo. La storia, tratta da un reale evento di cronaca, racconta le vicende di un serial killer che dal 1986 al 1991 ha stuprato e ucciso dieci donne tra i 13 e i 71 anni. Il regista ricostruisce gli anni ottanta coreani ambientandoli in comunità rurali, province del proprio paese piene di piccoli terribili segreti e di forze di polizia brutali, probabile retaggio degli scontri realmente avvenuti tra studenti (compreso lo stesso regista) e forze dell’ordine durante la dittatura militare degli anni 80. Ne esce un racconto stratificato, complesso, polisemico e profondamente ancorato alla propria cultura, lontano anni luce dalla globalizzazione culturale di certo cinema statunitense (per questo ha alcuni punti in comune con un film come I Fiumi di Porpora).
(Michele Senesi, asianfeast.org)

 

 

Luca Biscontini