Stasera in tv The Witch di Robert Eggers

Stasera in tv su Mediaset Italia 2 alle 21,15 The Witch, un film del 2015 diretto da Robert Eggers. Il film, di genere horror, è una co-produzione internazionale di Stati Uniti, Regno Unito e Canada, ed è stato presentato al Sundance Film Festival 2015. Nella parte finale si legge che il film è derivato direttamente da «giornali, diari e resoconti giudiziari del tempo (XVII secolo)». Ha ricevuto il plauso della critica e ha incassato oltre 40 milioni di dollari, a fronte di un budget di 3 milioni. Sceneggiato dallo stesso Eggers, con la direzione della fotografia di Jarin Blascke, le scenografie di Craig Lathrop, i costumi di Linda Muir e le musiche di Mark Korven, The Witch è interpretato da Anya Taylor Joy, Ralph Ineson, Kate Dickie, Harvey Scrimshaw, Lucas Dawson.

Trama
New England, XVII secolo. William e Katherine conducono una devota vita cristiana insieme ai loro cinque figli in una zona ai margini dell’impraticabile deserto. Quando il loro figlio neonato svanisce e il raccolto va a male, la famiglia comincia a disintegrarsi e tutti finiscono con il darsi addosso a vicenda. Il vero pericolo però è il male sovrannaturale che si nasconde nel vicino bosco.

Chi scrive non può che unirsi al coro di lodi che da più parti sono giunte per osannare, giustamente, l’esordio cinematografico del giovanissimo regista statunitense Robert Eggers (1983), il quale, con il suo The Witch (2015) – di cui ha scritto anche soggetto e sceneggiatura – ha dato davvero un forte scossone a un genere che, specialmente negli ultimi tempi, sta vivendo un periodo di ristagno, dovuto alla scarsità di idee e soprattutto alla tendenza a riproporre alcuni, consunti stilemi che, proprio per il loro abuso, non sortiscono più l’effetto desiderato. Il raffinato clima d’inquietudine che lentamente, ma inesorabilmente, monta in The Witch, penetra lo spettatore come una lama affilata: le vicende angoscianti di una povera famigliola, esiliata nei primi anni del ‘600 in una terra aspra e desolata, violano, in un certo senso, i consueti schemi operativi nel cinema dell’orrore. A fronte di una religiosità eccessiva (che costituisce la causa dell’allontanamento del nucleo dalla comunità di appartenenza) del capo famiglia, un fondamentalista cattolico poco incline alla mediazione e alla ragionevolezza, un Male radicale, mutuato dall’iconografia degli antichi racconti popolari dell’epoca, s’insinua con inusitata violenza, spazzando via le fanatiche convinzioni. A fare la differenza è l’esito amarissimo, che vede una vittoria incontrastata delle presenze malefiche che abitano il tenebroso bosco a ridosso del quale vivono gli esiliati. In particolare, la Natura, in conformità con la tradizione letteraria del periodo, acquisisce una valenza simbolica fortemente negativa: gli animali (il caprone nero, la lepre) e la vegetazione (gli alberi rinsecchiti, le cui fronde sono mosse dal vento in modo più che mai sinistro) diventano nemici ostili che si contrappongono al tentativo vano dell’uomo di dominarli. È in un’antica, ancestrale, dimensione, precedente alla comparsa degli uomini – verrebbe da dire –, che risiede un’oscurità invincibile dentro cui si perdono, sprofondano, i protagonisti di questa favola nerissima, in cui, senza ridondanti e inutili effetti speciali, si può fare esperienza di un portentoso senso di morte che incombe inesorabilmente.

Le inquadrature trattenute, che quasi celano, per il buio che le avvolge, i contorni di una spaventosa, mostruosa e decrepita strega, mentre è intenta a celebrare i suoi funerei riti di morte (in particolare la prima sequenza dà davvero i brividi), dimostrano che è proprio nella mancanza di visibilità a risiedere il massimo grado di orrore. A ciò che realmente si può osservare (assai poco) si somma l’auto spavento dello spettatore, il quale concorre non poco, con le proprie fantasmatiche paure che quasi si materializzano, a completare il movimento di formazione di un’immagine volutamente incerta, non portata a termine. È come se Eggers, genialmente, avesse messo a profitto il desiderio di essere terrorizzato dello spettatore per raggiungere lo sperato effetto di far trasalire chi guarda. Ma questo processo non può essere considerato solo l’ennesimo, furbetto espediente utilizzato per tentare di realizzare a tutti i costi qualcosa di originale. Altrimenti faremmo un torto al giovane regista, che, non possiamo sapere quanto consapevolmente, è riuscito nel non facile compito di lasciar decadere il tipico legame dialettico che, innanzitutto e per lo più, lo spettatore intrattiene con un film (o con un’opera d’arte qualsiasi), aprendo un piano d’immanenza attraverso cui risucchiarlo, permettendogli di fare un’esperienza, che, a rigore, non essendo filtrata dalle maglie della rappresentazione, non potrebbe essere neanche riferita. Ed è esattamente questa la sensazione di assoluto sgomento che si prova dopo la visione di The Witch. Si è pervasi da un’angoscia che quasi non si riesce a comunicare, giacché non è stata causata da un’iconografia cristallizzata, ma, al contrario, proprio dall’abilissimo lavoro di sottrazione del regista.

 

 

Luca Biscontini