Terror Zone di Alberto Bogo

Alberto Bogo è un giovane regista genovese che debutta nel 2015 col suo primo horror dal titolo Extreme Jukebox, al quale segue, nel 2018, Terror Take Away. Dopo quattro anni di attesa nel 2022 esce finalmente il terzo film del regista, Terror Zone, un progetto nato e sviluppato durante la pandemia e incentrato sui temi del covid, del lockdown, e degli effetti che tutto ciò ha avuto sulle persone e sui rapporti umani. Il film si sviluppa come un’antologia il cui filo conduttore è un programma radiofonico condotto da un singolare speaker che evidenzia proprio i rischi, i pro ed i contro del lockdown, delle mascherine, dell’uso dell’igienizzante, e tutti quei gesti divenuti ormai tristemente familiari da due anni a questa parte. I cinque episodi di cui è composto Terror Zone si ispirano al linguaggio filmico anni Ottanta/Novanta, spaziando fra diversi sottogeneri quali il thriller, il grottesco ed il drama, il tutto sempre legato dallo humor surreale che contraddistingue i lavori di Bogo. Tutta l’opera è supportata da una magnifica colonna sonora dark’n’roll, grazie alla collaborazione con l’etichetta discografica ligure Black Widow Records, che viene visibilmente omaggiata nel secondo episodio del film. La storica etichetta genovese ha fornito a Bogo una vasta scelta di brani tra cui scegliere, mentre gli altri sono di Stefano Agnini, anche fonico del film, e del musicista Paolo Fois, che aveva già realizzato la canzone ufficiale di Terror Take Away. Piccola produzione indipendente, ha tutti i meriti e le pecche del genere, a partire da un cast in alcuni casi casereccio e dilettantesco ma arrivando poi ad un buon risultato dato dal cuore e dall’impegno messo nel progetto non solo dal regista ma anche dai suoi collaboratori (ci sono ben cinque direttori della fotografia diversi) tra cui voglio citare il produttore Alessandro Sbabo di Ore d’Orrore, che recita anche in ben due cammei con ottimi risultati.

All’interno di un programma radiofonico “clandestino”, Zio Cesoia, speaker dall’aspetto ambiguo e sinistro, racconta i lati sempre più oscuri di una umanità portata allo stremo da un anno di pandemia.

Lockdate: “Sai qual è il colmo per un morto di figa? Scoparsi una figa morta”; un appuntamento al buio durante il lockdown è veramente una buona idea? Lo scoprirà una ragazza, nome in codice “Principessa Pinky”, spinta da un’irrefrenabile desiderio di contatto umano… La partenza è subito in quarta, con il classico binomio che sempre contraddistingue il cinema dell’orrore, quello di sesso e violenza: ottimi il ritmo e la tensione narrativa, beffardissimo il finale.

Lovedown: “L’unione fa Performance”; fino a che punto la convivenza forzata può tenerci equilibrati? Lo scoprirà una coppia in procinto di separarsi poco prima del lockdown. Premesse interessanti e finalone splatter come piacerebbe a Davide Pesca.


Locked Youth: “E’ proprio come uno di quei giochi di ruolo: prima la tenevate a distanza voi, la didattica, ora vi tiene a distanza lei”; giovani, annoiati e… in cerca di ogni genere di svago, ma dovranno fare i conti con un killer spietato e un gruppo di prostitute cannibali. Un divertente e tarantiniano “tutto in una notte” con risvolti genovesi alla Dal Tramonto all’Alba, che ci porta in un girotondo di personaggi sempre più grotteschi e fuori di testa, con un ritmo infernale ed un’ottima colonna sonora.

Breakdown: “Quand’è che possiamo davvero farci ascoltare, per mostrarci per quello che veramente siamo? È solo cieca ansia, quella che gli esseri umani si scambiano, raccontandosi di avere un dialogo”; un aiuto psicologico è ciò che serve in questo periodo per ritrovare il proprio equilibrio, ma quando il supporto diventa ossessione di benessere le conseguenze potrebbero essere inaspettate. Segmento caustico e molto violento.

Locked end: “Che cos’è quella? Arma anti cinghiale. Dio quanto mi fai sesso!!!”; una fuga tra due amanti clandestini si trasformerà in una notte di violenza e riti magici. Divertentissimo, da commedia horror, ma ricco di pathos e colpi di scena.

Tra i nomi che hanno collaborato a questo progetto se ne sottolineano alcuni, tra cui quello del regista Brace Beltempo, qui nel ruolo di direttore della fotografia, quello dalla star del web Niky Argento, che interpreta il piccolo cammeo della Splendente Beatrix, e quello della bella e brava attrice Antonella Salvucci, già vista in produzioni italiane di genere come Cappuccetto Rosso Sangue di Giacomo Cimini del 2003, The Torturer di Lamberto Bava del 2005, La Rabbia di Louis Nero del 2008, Night of the Sinner di Alessandro Perrella del 2009, Bloody Sin e Bellerofonte di Domiziano Cristopharo del 2011, Tulpa di Federico Zampaglione del 2012 e Il carillon di John Real del 2016. La performance della Salvucci, nei panni di una conturbante quanto folle strega nel segmento finale del film, che a tratti tocca punte di vera e propria schizofrenia, aiuta a risollevare un po’ le sorti recitative di quest’opera, che vede nel comparto attoriale forse la sua pecca più evidente, come succede spesso in produzioni indipendenti a basso budget. Si sembrano prediligere soprattutto attrici super gnocche lasciando però poco spazio alle doti interpretative ed all’espressività. Di tutte salvo Emma Padoan nel ruolo di un’affascinante psicopatica e Anna Giarrocco in quello di un’infermiera fedifraga. Un po’ meglio il comparto maschile, primo fra tutti lo strampalato dj interpretato dall’attore Alessandro Davoli, già visto ed apprezzato in Alice was my Name di Brace Beltempo e nella parte di un cannibale in Night of Doom di Davide Pesca. Davoli svolge alla perfezione il ruolo di ambiguo narratore e sarcastico traghettatore che ci condurrà nei meandri delle menti umane deviate dalla pandemia, che, a vedere questo film, pare abbia fatto più danni cerebrali che fisici. Usando parole a volte ironiche ed a volte polemiche, che non risparmiano proprio nessuno, punterà il dito sia contro i complottisti che contro gli anti-complottisti.

Avendo iniziato le riprese praticamente subito dopo il lockdown, Bogo ci racconta che alcuni attori, fermi da oltre un anno come la maggior parte dei lavoratori dello spettacolo, hanno avuto dei brevi attacchi di panico sul set, fortunatamente risoltisi nel migliore dei modi. A differenza che nei suoi film precedenti, qui il regista sceglie volutamente di non inserire nella pellicola citazioni a classici dell’horror, per non sovraccaricare episodi brevi già densi di situazioni e suggestioni.

Il primo episodio, Lockdate, è stato girato presso il quartiere Diamante di Genova, noto purtroppo per il suo degrado e per l’ecomostro conosciuto come La Diga, dove Bogo ha lavorato come educatore per diverso tempo, rimanendogli quindi legato sentimentalmente. Il giorno dopo le riprese una parte dell’ecomostro è stata abbattuta e quindi Terror Zone risulta l’ultima ripresa fatta qui prima dell’abbattimento, divenendo perciò un’importante testimonianza storico-urbanistica. Il secondo episodio, Lovedown, è tutto girato in un piccolo appartamento di Genova; a causa del caldo intenso, dello stress e di diversi piccoli incidenti, uniti alle ridotte dimensioni della casa che doveva però contenere le 16 persone del cast e della crew, non è stato difficile per i due protagonisti, Pietro Giunti e Barbara Alesse, calarsi nella parte di una coppia sull’orlo di una crisi di nervi. Il terzo episodio, Locked Youth, è stato l’unico girato in 4 giorni e non in 2 come gli altri a causa di una serie di problematiche, fra le quali la finale degli europei vinta dall’Italia, che ha causato non pochi problemi all’audio del film, vista la confusione che c’era in giro. Nel quarto episodio, Breakdown, il finale è stato cambiato sul momento, rendendolo più cinico, cattivo ed efficace. Nel quinto episodio, il gran finale, Locked End, il set è stato tenuto sotto costante monitoraggio a causa della presenza di cinghiali, che avevano invaso intere zone di Genova; tutto il cibo veniva nascosto, briciole comprese, per non attirare i voraci e poco socievoli animaletti.

Insomma, in questo simpatico progetto Bogo si diverte ad ironizzare sui lati più oscuri dell’essere umano, estremizzati dalla tensione causata dalla pandemia e dal conseguente lockdown. Come già aveva fatto in Terror Take Away, che affondava le sue radici nel mondo del lavoro, il regista genovese usa il genere horror per realizzare in realtà un film politico, polemico, che affronti con coraggio i drammi ed i problemi della società attuale. Non è un caso che lui partecipi anche ad un piccolo cammeo nel terzo episodio come uno dei due goliardici concorrenti di una singolare gara di sputi! Insomma, Bogo osa e ne esce, tutto sommato, vincitore, omaggiando in maniera piacevole quel cinema Anni Ottanta americano molto amato da tutti noi, servendosi anche di alcuni personaggi stereotipati ma nonostante ciò, o proprio per questo, irresistibili. Con tanto splatter ed una buona dose di cattiveria narrativa, e con l’aiuto di una strabiliante colonna sonora, Alberto Bogo chiude il suo terzo lavoro con un’asticella qualitativa sempre più alta che gli auguriamo di far alzare sempre di più in futuro, ma se le premesse sono queste credo proprio che ne vedremo delle belle.

 

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Ilaria Monfardini