Stasera in tv Ritorno alla vita di Wim Wenders, con James Franco e Charlotte Gainsbourg

Stasera in tv su TV 2000 alle 21,10 Ritorno alla vita, un film del 2015 diretto da Wim Wenders, con protagonisti James Franco e Charlotte Gainsbourg. Il film, girato in 3D nativo, segna il ritorno alla regia di un film di finzione del regista tedesco dopo sette anni dall’ultimo lungometraggio, Palermo Shooting del 2008. Ritorno alla vita viene così descritto da Wenders: «Ritorno alla vita è incentrato sul senso di colpa, ma non riguarda esplicitamente il protagonista Tomas, ma in generale tutti coloro che svolgono un lavoro creativo, dagli scrittori ai registi. L’incidente iniziale dà lo spunto per soffermarsi a riflettere su varie questioni: è possibile usare un evento a cui si è assistito o di cui si è vittima per trasformarlo in un’opera d’arte, una storia, un film o un’immagine? Si possono integrare l’esperienza e la sofferenza degli altri nella propria arte? Il nostro Tomas diventa uno scrittore migliore dopo l’esperienza traumatica dell’incidente». Con James Franco, Rachel McAdams, Charlotte Gainsbourg, Marie-Joseé Croze, Robert Naylor.

Trama
Tomas (James Franco) è uno scrittore che perde il controllo della sua esistenza dopo un incidente d’auto in cui perde la vita un ragazzino. Anche se non è direttamente colpa di Tomas, l’evento porta alla fine della sua relazione con la fidanzata (Rachel McAdams) e fa cambiare improvvisamente la direzione della sua vita e del suo lavoro. Seguita nell’arco di 12 anni, quella di Tomas è una storia intima di colpa e ricerca del perdono.

“Il cinema è capace di mettere al sicuro l’esistenza delle cose”: così il teorico ungherese degli anni venti, Béla Balàzas, si esprimeva a proposito della funzione del cinema, e Wim Wenders fa sua questa lezione, cercando, in un’epoca di proliferazione delle immagini, di preservare e costruire quelle che riescono ancora a dare consistenza a un reale sempre più evanescente. L’utilizzo del 3D (che chi scrive non ama particolarmente) è, in questo senso, funzionale a fornire un maggiore ‘spessore’ alle immagini, caricandole di un’emotività che impedisca loro di scivolare nel desolante flatus vocis dell’immagine sub specie spaectaculi. Si nota nell’ultimo film del regista tedesco un’attenzione maniacale alla costruzione delle inquadrature, alla scelta delle location, alla direzione degli attori, che si producono in prestazioni estremamente calibrate, contenute. Tutta la materia emotiva passa attraverso un lavoro di riduzione che consente alla storia messa in scena di non scadere mai nel melò, piuttosto di innescare nello spettatore una profonda riflessione sulla dinamica dei rapporti tra i vari personaggi, e, più in generale, un processo di auto analisi.

Wim Wenders si chiede, da grande artista qual è, quanto si possano utilizzare le vicende umane che ci gravitano intorno per un fine creativo, laddove, nella fattispecie, è il dolore per la perdita di un figlio, causato da un incidente automobilistico provocato dal protagonista, a costituire la condizione preliminare per il suo sviluppo umano e artistico. Esemplare, in tal senso, la sequenza in cui il fratello della vittima, Christopher, divenuto adulto, incontra Tomas (James Franco) e gli fa notare come i suoi libri siano migliorati dopo il tragico avvenimento. Una spinosissima questione quella sollevata, dunque, che ci convoca a una riflessione sull’arte, su tutto ciò che ne costituisce la fonte d’ispirazione e sui processi di metabolizzazione dei contenuti.

Ecco perché Tomas dopo la richiesta di incontro di Christopher esita platealmente, temendo di dover riconoscere di aver assunto un atteggiamento parassitario nei confronti di una vicenda umana che, invece, avrebbe richiesto il più assoluto riserbo e una silenziosa meditazione. Assistiamo a dodici anni della vita del protagonista in cui si alternano tre figure femminili assai differenti che accompagnano la sua evoluzione interiore (tra le altre, anche Charlotte Gainsbourg che, stavolta, diretta da Wim Wenders non svetta, rimanendo un personaggio volutamente sottotono) e siamo, al tempo stesso, spettatori del suo processo di imborghesimento (lo vediamo passare dalla casetta di legno dell’inizio del film a una super tecnologica villa minimalista in cui decide di formare una famiglia con l’ultima compagna).

L’attenzione è, in alcuni passaggi, messa a dura prova, ma ciò e dovuto a una volontà precisa dell’autore che, attraverso la dilatazione dei tempi, voleva (e ci è riuscito) trasmettere il faticoso tentativo di interiorizzazione del protagonista, con tutti gli effetti collaterali da esso prodotti. C’è un alone di mistero che incombe su Tomas che, come tutti gli scrittori coinvolti nel delicato processo di trasformazione della realtà in linguaggio, non rende mai gli altri partecipi dell’andamento del suo lavoro. Nonostante la scarsità di dialoghi nella sceneggiatura, lo spettatore è reso comunque partecipe, nel migliore dei modi, dei movimenti emotivi del protagonista, e di tale risultato non si può non fare un plauso a Wim Wenders, il quale, in questa occasione, ha messo in scena uno script di Bjorn Olaf Johannessen, che si rivela un promettente autore. Dopo i due straordinari documentari, Pina e Il sale della terra, dunque, Wim Wenders torna alla finzione, pur mantenendo un solido legame con la realtà, e lo fa convincendo e dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, la sua statura di maestro.

 

 

Luca Biscontini