Stasera in tv …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà di Lucio Fulci

Stasera in tv su Cine34 alle 00,45 …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà, un film del 1981, diretto da Lucio Fulci. È la seconda parte della cosiddetta trilogia della morte, tre film horror-splatter diretti da Fulci tra il 1980 e il 1981, interpretati da Catriona MacColl. Gli altri film della trilogia sono Paura nella città dei morti viventi e Quella villa accanto al cimitero. È considerato il film più visionario ed estremo di Fulci ed è divenuto un film di culto tra gli amanti del genere splatter. Fu riedito nel 1987 e nel 1988, entrambe le volte con il titolo L’aldilà. È stato proiettato in una versione restaurata nel 2004 alla 61ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, nell’ambito della rassegna Storia segreta del cinema italiano – Italian Kings of the B’s. Nel 1998 Quentin Tarantino restaurò la pellicola e la distribuì per la prima volta negli Stati Uniti d’America, nella versione integrale. Con Catriona MacColl, David Warbeck, Sarah Keller, Antoine Saint John, Veronica Lazar.

Trama

Anno 1927: in un albergo maledetto perché costruito sopra una delle sette porte dell’inferno, la folla inferocita uccide un pittore accusato di stregonerie. 1981: Liza, disegnatrice di moda, riceve in eredità quello stesso albergo newyorkese. Nonostante venga messa in guardia da una donna cieca, Liza si stabilisce nell’edificio pensando a come ristrutturarlo.

Tra i migliori film di Lucio Fulci, insieme a Non si sevizia un paperino (1972), L’aldilà non fu molto apprezzato dalla critica – Il Corriere della Sera e La Repubblica lo stroncarono e Kezich ne stigmatizzò il cattivo gusto sanguinolento – ma proprio ciò che all’epoca fece propendere per un giudizio sfavorevole, successivamente, invece, attraverso, potremmo dire, un processo di trasfigurazione, è divenuto quanto viene considerato lo stilema del cineasta, a cominciare proprio dalla tendenza a comporre sequenze fortemente crude (si perdoni l’anacronismo del termine, ma chi scrive non ama utilizzare l’aggettivo “splatter”), che per l’insistenza a indugiare sui corpi martoriati, tra sgozzamenti, scarnificazioni, accecamenti violenti, ha portato alle estreme conseguenze un genere cinematografico, mandando in visibilio una nuova generazione di spettatori.

L’aldilà, uscito nel 1982, incassò in Italia 747 milioni di lire e all’estero ottenne un ottimo riscontro riuscendo a entrare nella classifica dei film più visti negli Stati Uniti, a dimostrazione del fatto che, già allora, c’era un pubblico che l’ha amato, decretandone il successo. Oggi il lungometraggio di Fulci è divenuto un film di culto, un piccolo capolavoro che infiamma nuove schiere di fruitori e delizia quegli spettatori più attempati irrimediabilmente attratti dalla crudeltà e dagli eccessi del film. Lo stesso regista definì L’aldilà artaudiano, da Antonin Artaud, il celebre commediografo francese che teorizzava il teatro della crudeltà. Fulci dichiarò: «Il messaggio che cercavo di comunicare è che la nostra vita è un terribile incubo e che l’unica via di fuga è nascondersi in questo mondo fuori dal tempo. Alla fine del film i protagonisti hanno questi occhi privi di vista e c’è questo deserto senza luce, senza ombre, senza vento… il nulla assoluto. Credo di essermi avvicinato a ciò che gran parte della gente pensa dell’aldilà».

La storia, scritta dal veterano Dardano Sacchetti e sceneggiata insieme a Giorgio Mariuzzo e Fulci, è abbastanza semplice: nel 1927 in un albergo, Il Sette Porte, nella Louisiana, un pittore, Zweick, sospettato di stregoneria, viene raggiunto da un gruppo di uomini che lo massacra a colpi di catena, inchiodandolo a una parete come un Cristo e ricoprendolo di calce viva. Emily, una ragazza del posto, legge alcune frasi dal libro di Eibon, che subito dopo prende fuoco. Questo prologo è girato in bianco e nero e virato in seppia dal buon direttore della fotografia Sergio Salvati, fedele collaboratore di Fulci. Ci ritroviamo catapultati nel 1981, quando la bella Liza Merril (la discreta Catriona MacColl) eredita l’albergo, ma fin dalle prime operazioni di restauro della fatiscente struttura cominciano a verificarsi le strane morti di coloro che sono coinvolti nelle operazioni di rifacimento. In una bellissima sequenza (forse, a parere dello scrivente, la più riuscita del film), Liza, che percorre in auto una suggestiva autostrada circondata dal mare, incappa nella misteriosa Emily, ragazza non vedente che le si para improvvisamente davanti interrompendone la corsa. La giovane donna cerca di far desistere Liza dall’intento di riattivare l’hotel, senza riuscire a ottenere il risultato sperato. Una spirale di violenze, spettri che si materializzano, morti a profusione, con litri di sangue che scorrono, caratterizza la parte centrale del film, fino all’osannato epilogo in cui gli unici due sopravvissuti, Liza e il dottor John McCabe (David Warbeck, un modesto sosia di Jack Nicholson), si ritrovano dapprima in un ospedale infestato da zombie, e, in ultimo, in uno scenario surreale, che ripropone esattamente quello del quadro che la giovane Emily dipingeva a inizio film, anch’essi, alla fine, privati della vista.

L’aldilà mantiene intatto il suo fascino e non può sfuggire la grande cura di Fulci nel realizzare le sequenze, sia per quanto riguarda la composizione del profilmico, sia per i calibratissimi movimenti di macchina. Ci sono scene di culto, come quella in cui l’amico architetto di Liza (interpretato da Michele Mirabella), caduto da una libreria mentre cercava la piantina dell’albergo maledetto, viene assalito da un branco di tarantole che gli maciullano il viso, finanche la lingua, esasperando lo spettatore che assiste impietrito. Belle e ossessive le musiche di Fabio Frizzi che accompagnano la crescente ansietà che caratterizza lo sviluppo del film, fino all’annichilente motivo finale con cui si apre il cammino dei due malcapitati protagonisti nel regno dei morti. C’è poi nel film di Fulci quell’artigianalità, soprattutto in riferimento agli ottimi effetti speciali di Giannetto De Rossi, Maurizio Trani e Germano Natali, che fornisce un valore aggiunto, anche un senso di ‘ingenuità’, se vogliamo, che restituisce il modo di fare cinema di un’epoca, quella degli inizi degli anni Ottanta, che tanto fascino esercita sugli odierni spettatori (compreso lo scrivente).

Dunque, al netto, delle considerazioni fatte, L’aldilà, forse, non è un film per tutti, si rivolgerà sempre a una categoria ben delineata di pubblico, ma questa è la sua forza, la capacità di non perdere a distanza di oltre trent’anni il potenziale dirompente, che penetra l’occhio dello spettatore contemporaneo, turbandolo e, anche, deliziandolo.

 

 

Luca Biscontini