The northman: l’epico e visionario mondo scandinavo di Eggers

Dopo i successi di critica a seguito dell’horror d’autore The witch e del visionario quanto ambizioso The lighthouse, il regista statunitense Robert Eggers torna dietro la macchina da presa con il tanto atteso The northman.

Già dalla diffusione delle prime immagini dei teaser e dai trailer ci siamo preparati a quelle ambientazioni scandinave che abbiamo imparato a conoscere da opere di varia natura, non ultime le serie televisive Vikings e Vikings: Valhalla.

Eppure non siamo di fronte solamente a un film su guerrieri vichinghi ornati di pesanti manti o elmi tipici. Questi elementi ci vengono mostrati soprattutto in apertura. Gradualmente, le varie icone filmiche vengono spogliate dei propri abiti, raggiungendo l’apice in una battaglia finale a corpi nudi. Uno svestire necessario per raggiungere a fondo anche l’anima stessa dei personaggi fino a succhiarne la spiritualità più profonda che ha le sue radici nelle antiche leggende nordiche a metà strada fra religione e mitologia. Come in The lighthouse, Eggers abusa in simbolismi e riferimenti un po’ ovunque, a partire dalla trama che vede protagonista quell’Amleth ispirato alle narrazioni dello storico danese Saxo Grammaticus, le stesse a cui attinse William Shakespeare per il più noto Amleto. La storia, scritta dallo stesso Eggers in coppia con l’autore islandese Sjòn, è incentrata sul giovane Amleth, figlio del re Aurvandil (Ethan Hawke) brutalmente assassinato dal fratello Fjolnir (Claes Bang). Costretto a fuggire da chi lo vuole morto, Amleth cresce lontano dalle terre natie diventando un guerriero (interpretato da un possente e rude Alexander Skarsgård). A seguito della conquista di un villaggio da parte del nuovo popolo di cui fa parte, Amleth scopre che lo zio Fjolnir si è ritirato in Islanda dopo avere a sua volta perso il regno conquistato dal fratricidio. Il ragazzo, dopo che alcune visioni mistiche/magiche gli ricordano la promessa di vendicare il padre fatta in tenera età, decide di partire.

Nasce con queste premesse un racconto di rappresaglia diviso in capitoli che scandiscono l’avanzata del protagonista, in cerca del suo destino nella lontana Islanda, isola gettata tra le onde del grigio Atlantico. Una terra fredda, desolata, sorta tra ghiacci e lava, tra il verde dell’erba e il nero delle spiagge e delle ceneri vulcaniche, territori che rimandano a paesaggi maligni (“terra infernale”, così viene definita nel film). Sono questi gli scenari su cui si stende il tappeto al percorso di Amleth, che da finto schiavo torna per vendicare il padre e liberare la madre (presa in sposa dallo stesso Fjolnir). Dinamiche già note che rimandano ad opere come Il gladiatore di Ridley Scott, senza mantenere necessariamente quei toni più edulcorati utili a creare una chiara distinzione tra il bianco e il nero, il bene e il male. In The northman la scissione è meno netta. Quello che può sembrare uno schierarsi è semplicemente il punto focale della vicenda. Ma non ci sono lati giusti o sbagliati, esiste solo la vendetta come motore delle proprie azioni. Tant’è che sarà la stessa madre di Amleth, la regina Gudrùn (nelle fattezze angeliche prima e spietate poi di Nicole Kidman) a ribadire il concetto che “il male genera male”. Egger dirige un film tecnicamente impeccabile. Il metodico stile registico (fatto di riprese lineari, ordinate, a volte portate alle lunghe in intensi piani sequenza) è coadiuvato da un montaggio adeguato e in grado di sbalzare continuamente lo spettatore dalle forti (e rumorose) sequenze di battaglia a quelle più distensive, necessarie solo a far riprendere fiato per le sommosse successive.

Un film violento e brutale, ma anche con tentativi di approccio poetico e d’autore. Non è un caso la scelta costante di un linguaggio aulico adatto più ad un poema epico. C’è spazio anche per i legami sentimentali, forse non convincenti come gli altri aspetti. La relazione con la schiava Olga (interpretata da Anya Taylor-Joy) rimane secondaria in mezzo alla mole di contenuti. The northman nasconde in maniera cadenzata la sua identità di film storico/medievale di avventura e azione dietro momenti di natura quasi antropologica. È ai limiti del maniacale il ritmo con cui si dà spazio alle parentesi simil-tribali (Willem Dafoe sa prendersi la scena in uno dei tanti rituali che Eggers ci propone, quasi allo scopo di sottoporci agli stessi riti di passaggio dei protagonisti). Alla stessa maniera sono magnifiche ed estremamente accurate le sequenze legate alla sfera esoterica (ricordiamo la presenza della cantautrice Bjork ad interpretare la profetessa) e quelle prettamente spirituali tra cui spicca la mistica e visionaria cavalcata della Valchiria (con apparecchio ai denti?) a guidarci verso il Valhalla. Sono tante le sfaccettature di questo progetto, tanti sottogeneri che vengono tenuti insieme dalla grande veste del kolossal. Eggers non ha voluto lasciarsi sfuggire l’occasione per tentare il colpo. Dopo gli horror atipici a cui ci ha abituati, rappresenta a modo suo il concetto di film epico, condensandolo (se così si può dire) in centocinquanta minuti tosti, decisi e, forse, non per tutti i palati.

 

 

Alessandro Bonanni