Il Caso Anna Mancini di Diego Carli

Il regista triestino Diego Carli vive ormai da diversi anni nel veronese, una provincia, a detta sua, molto pacifica e tranquilla, che porta a pensare, un po’ come avviene nei film del Maestro Pupi Avati, che sotto questa patina sfavillante di tranquillità ci siano nascosti i peggio abomini, che quando vengono a galla lo fanno sempre sulle spalle dei malcapitati che invece di stare muti in silenzio come la maggior parte dei cittadini cercano di indagare su di una verità che quasi sempre sarebbe stato meglio lasciare ben sepolta. Una verità che deflagra come un ordigno atomico, una mina devastante, lasciando attorno a sé solo morte e distruzione. Carli decide di esplorare i misteri della provincia di Verona, e lo fa nel 2016, partendo da un bel paesino, Monteforte d’Alpone, circa 9000 abitanti, famoso per l’ottimo vino Soave e per l’alto campanile, simbolo oltremodo pittoresco, che il regista immerge però in una luce cupa e sulfurea che lo farà apparire ai nostri occhi come un simbolo magico/esoterico. Tra le strade e gli edifici di Monteforte Diego Carli ambienterà la storia di un gruppo di ragazzini le cui vite vengono sconvolte dall’incontro con un’adolescente solo all’apparenza uguale a loro, e dei due giornalisti che cercheranno di squarciare il velo di omertà che si è creato intorno a questa intricata vicenda. Ciò che scopriranno andrà ben oltre le loro iniziali aspettative. Avvalendosi della tecnica resa nota in tutto il mondo dal caso mediatico The Blair Witch Project del 1999, quella del Found Footage, ma discostandosene ampiamente nei contenuti ed avvicinandosi più a opere quali Lake Mungo del 2008 o l’italiano Il Mistero di Lovecraft (Road to L.) del 2005, Carli tirerà su un vero e proprio finto reportage, avvalendosi di video chat, spezzoni di telegiornali, foto e video tratte da telefonini e ovviamente delle riprese fatte dai due protagonisti, il giornalista Marco Bressan ed il suo cameraman Roberto Zanchetta. Questo è Il Caso Anna Mancini, disponibile online sulla piattaforma horror HODTV e da poco anche in dvd.

Il prologo del film ci narra quanto segue: “Nel 2014 la comunità di Monteforte d’Alpone fu sconvolta dalla misteriosa scomparsa di una ragazzina di 12 anni. Due giornalisti locali decisero di condurre le ricerche autonomamente, riuscendo a recuperare una vasta quantità di materiale: interviste, filmati fatti con i cellulari dagli stessi compagni di scuola, che gettano un’ombra inquietante sulla vicenda. Questo documentario è stato realizzato usando tutte le informazioni raccolte dai due reporter che hanno contribuito a ridestare l’interesse verso il caso Anna Mancini”. Dopo queste parole, scritte su un cupo sfondo nero, l’azione si apre con una visione quanto mai oscura dello skyline di Monteforte, col suo campanile che svetta contro un cielo venato di sangue. Si apprende che in paese è scomparsa da poco una dodicenne, Anna Mancini, ragazza taciturna e dai modi misteriosi, che vive sola con la madre, anch’essa personaggio alquanto singolare, e che parrebbe essersi volatilizzata nel nulla senza lasciare traccia, complice anche la totale mancanza di amici, anche tra i compagni di scuola. Due giornalisti, non convinti delle versioni ufficiali trasmesse dai tg e dalla polizia, decidono di mettersi ad indagare autonomamente, intervistando gli allievi della scuola di Anna, e così scoprendo che in realtà Anna un amico lo aveva, un certo Leonardo, che però dal giorno della scomparsa della ragazza è in stato vegetativo a causa di una paralisi improvvisa ed inspiegabile. Dopo il rifiuto della mamma di Anna di parlare con loro, i giornalisti si recheranno dai genitori di Leonardo e dal sacerdote della piccola comunità, mettendo insieme tutta una serie di dettagli che li porterà addirittura in Vaticano, dove emergeranno particolari agghiaccianti che trasporteranno la nostra storia in culti e riti pagani che risalgono addirittura all’epoca romana. Un viaggio nell’abisso che i nostri due giornalisti si pentiranno di aver intrapreso.

Ha classe, Diego Carli, e riesce fin da subito a calarci in un’atmosfera malsana dove nulla è ciò che sembra e dove la paura dell’ignoto porta chiunque possa sapere qualcosa a cucirsi la bocca ed a starsene ben rintanato nelle confortevoli stanze della propria casa. Anna è una ragazzina taciturna, problematica. Ma più di così nessuno si sbilancia. Finchè pian piano il silenzio non comincia ad incrinarsi sotto i colpi e le indagini di Marco e Roberto, impavidi e pronti a tutto, che si ritroveranno a contatto con entità che fino ad allora avevano, forse, soltanto visto in quadri come ad esempio il famoso Incubo, dipinto dal pittore svizzero Johann Heinrich Füssli. Carli scrive e dirige con maestria il suo reportage nei lati oscuri e sotterranei della provincia veronese, occupandosi anche della sceneggiatura insieme all’attore che interpreta Bressan, Paolo Rozzi, della post produzione e montaggio insieme a Michele Comerlati e delle musiche insieme all’altro dei due protagonisti del film, Emiliano Verzè, che interpreta il cameraman Zanchetta. Il cast è composto quasi esclusivamente da attori giovanissimi, spesso alla prima esperienza, a cui si perdona qualche piccola carenza espressiva, ed anche lo stesso Carli prende parte al film in veste di attore interpretando il Monsignore del Vaticano che i giornalisti vanno ad interpellare nella speranza di gettare un po’ di luce sui misteri che sembrano avviluppare la scomparsa di Anna Mancini.

Durante il film si allude al satanismo, alla stregoneria, ma l’inversione di tendenza che il regista dà alla fine ci porta in un mondo ancora più oscuro e misterioso, su sentieri impervi meno battuti, strizzando l’occhio a uno dei più grandi testi occulti mai scritti, il Malleus Maleficarum, e iniziandoci a riti arcani che vedono le loro origini perdersi nella notte dei tempi, ed i loro tentacoli avviluppare le credenze cristiano/cattoliche fino ad insinuarsi nelle più alte sfere del potere di Cristo. Sebbene manchi quasi completamente la componente sessuale nel film, elemento che invece sembra fosse fondamentale in tale tipologia di cerimonie, tuttavia Carli riesce a calarci bene nella perversione di fondo nella quale sono involte Anna Mancini, la madre, e molti altri. Quindi il film parte con un bell’impianto mistery, ma subito dalle prime sequenze della chat tra le due amiche ci si accorge che virerà decisamente nello spinoso sentiero dell’horror, regalando a chi cerca forti emozioni un paio di scene di vera suspense, difficili da trovare così ben congegnate in un indie italiano a basso budget, ed a chi cerca tensione un viaggio ctonio veramente da brividi, in un climax che parte da un malessere serpeggiante per arrivare ad apici di vera e propria paura.

Carli non esagera mai, si mantiene sui toni piuttosto delicati anche quando ci spaventa, non ama strafare, ed il film ha un’eleganza ed una compattezza formali che lo pervadono dall’inizio alla fine, elementi che, tuttavia, non impediscono allo spettatore di restare incollato allo schermo per tutto il tempo, senza bisogno di grossi effetti speciali che probabilmente, trattandosi di un low budget, avrebbero potuto peggiorare invece che migliorare l’esperimento. Man mano che scorre il tempo si passa sempre più dalla luce diurna al buio, che diviene sempre più spesso e palpabile, conducendoci negli anfratti più remoti di una provincia solo all’apparenza sonnacchiosa e pacifica. In fondo a questo buio, l’abisso, che i due incauti giornalisti toccheranno con mano, abbandonando a ogni passo un po’ della loro spavalderia di partenza. Diego Carli ci accompagna dal poliziesco al teen horror, dal demoniaco al dramma sociale, evidenziando il disagio dei giovani “diversi” e la loro difficoltà nell’essere accettati nella società di oggi, dove apparire sembra contare più di essere. Se spesso questi lavori del sottobosco di genere italiano peccano in incoerenza della sceneggiatura o in carenza delle prove attoriali, qui, fortunatamente, non troviamo né l’uno né l’altro dei due difetti. La trama non fa acqua, ma anzi, grazie al sapiente montaggio ben calibrato, non si perde nessun frammento di un puzzle che alla fine si rivelerà chiaro e lampante davanti ai nostri occhi. Gli attori, sia i più old che i novellini, riescono a essere oltremodo credibili, contribuendo alla veridicità finale dell’intero film. Ottima, in tal senso, la scelta di far usare a tutto il cast una naturalissima cadenza veneta, senza dizioni impostate che in un found footage sarebbero senz’altro suonate finte.

Carli condivide col friulano Lorenzo Bianchini la visione lugubre ed opprimente dell’Est italiano, di territori campagnoli o boschivi apparentemente placidi ma che nascondono invece segreti in grado di risucchiare chi vi si imbatte in un vortice mortale, prima che ci se ne renda realmente conto. Alcuni spaccati di questo Il Caso Anna Mancini mi hanno ricordato scene analoghe del bellissimo Radice Quadrata di Tre di Bianchini, classe 2001, anche questo ambientato tra le aule di una scuola. Le atmosfere cupe e soffocanti in cui i due autori immergono la provincia italiana ricordano indubbiamente più da vicino quelle avatiane piuttosto che quelle di esperimenti simili d’oltreoceano, dove la patinatura mainstream rovina quasi del tutto la sfumatura grezza e feroce che esce invece nei prodotti Made in Italy. Posso quindi affermare, senza il timore di essere smentita, che Il Caso Anna Mancini è un vero e proprio gioiellino dell’underground italiano, e merita di essere visto da una fascia di pubblico sempre più ampia, soprattutto da coloro che sostengono che gli Italiani non sanno più fare paura.

 

Ilaria Monfardini