SPECIALE LIBRI: INTERVISTA A ROBERTO LITTA

È proprio vero che il destino di ogni essere umano è già scritto oppure c’è chi crede ancora che ognuno sia artefice del suo?
L’uomo che vive due volte, romanzo d’esordio di Roberto Litta, sembra dar ragione alla prima affermazione. Il libro racconta le vicissitudini di Andrea Orti e offre lo spunto per approfondire un secolo di storia e non solo.

Il protagonista del romanzo vive una condizione molto particolare: la sua capacità di prevedere gli eventi lo porta ad incrociarsi con un personaggio che gli svela di avere una Missione da compiere perché lui è un Eletto. Il compito non è dei più semplici visto che, proprio per questo motivo, il destino lo mette a dura prova ponendolo innanzi a battaglie da affrontare ma, soprattutto, a fare i conti col dolore. A tal punto le chiedo: nella vita a volte è meglio sapere o non sapere?

Il rapporto con la consapevolezza del nostro essere fragili e solamente di passaggio sulla terra , la possibilità che spesso la vita ci riserbi più dolori che gioie, non deve essere letta in una sola chiave negativa. Come cerco di spiegare nel romanzo, non tutto il bene porta cose positive e non sempre il male porta solo negatività, preferisco far emergere il tema dell’insegnamento, la vita in ogni circostanza brutta o bella che sia ci dà qualcosa, sta a noi volerne fare occasione di apprendimento di modo che in futuro evitare di commettere gli stessi errori, anche se vedendo molte situazioni di oggi verrebbe da dire che il passato a troppe persone non ha insegnato nulla. Ecco perché comunque è sempre meglio sapere.

 “L’uomo che vive due volte” si fa portatore di molteplici messaggi politici, sociali, religiosi e culturali, tutti supportati dal binomio Amore – Verità che permea l’intero libro e che vuol essere d’aiuto soprattutto ai giovani per far comprendere meglio la loro storia. Questi ultimi, però, più che avvicinarsi alle istituzioni e al sapere tendono piuttosto a rifuggire da essi. Da dove nasce secondo lei quest’avversione e qual è il modo migliore per porvi rimedio?

Oggi viviamo la cultura dell’immediato, non si da assolutamente valore al tempo e alla formazione. Anzi la cronaca porta alla ribalta troppi casi di persone mediocri che raggiungono il successo con scorciatoie varie. Senza voler infierire, a molti giovani sembra superfluo acquisire una professionalità specifica perché tanto poi il loro inserimento professionale sarà legato solo a qualche conoscenza o amicizia. Ecco perché a mio avviso l’incontro con il sapere e la curiosità verso la cultura è un passaggio obbligato per non restare mediocri nella vita. Mia madre mi ha sempre insegnato che è meglio avere un figlio povero , piuttosto che un figlio ignorante.

Ecco mi piace ricordare che anche se farà successo un mediocre resta tale e non sarà certo l’agiatezza economica conquistata a farlo sentire realizzato, perché guardandosi allo specchio vivrà con la consapevolezza dei suoi limiti, anche se non se ne curerà più di tanto. Ai giovani spero che la letteratura e i libri possano dare maggiore soggettività, maggiore capacità di pensare con la propria testa, e se si vuole migliorare il futuro non si può fare a meno di conoscere il nostro passato, almeno quello recente, in fondo il mio romanzo si conclude nel 1945 quindi nemmeno 70 anni fa e quegli accadimenti non possono non appartenere alla nostra memoria condivisa.

La storia di Andrea Orti, oltre che vissuta come Missione, spinge anche verso un’altra direzione: il sentimento patriottico. Esiste ancora nell’Italia di oggi l’amore per la patria e il senso dei valori comuni?

Oggi devo con rammarico ammettere, che l’amore patrio è dimenticato, frutto non solo della poca memoria storica ma anche di una globalizzazione che comunque porta alcune note positive : avvicina  culture differenti, e poi non è sbagliato sentirci cittadini del mondo e capire che l’egoismo nazionale può rappresentare un pericolo come fu nel ‘900 e quindi motivo di guerra e conflittualità tra popoli. Tuttavia oggi  per “amor patrio” io parlerei di tutela e difesa delle nostre specificità italiane, tutela della nostra tradizione e cultura e tutela di un minimo di interessi nazionali in campo economico e industriale soprattutto in questa lunga fase di crisi che stiamo vivendo.

Comunque non possiamo essere solo un mercato dobbiamo essere un popolo , e come spiego nel romanzo per esserlo non basta parlare la stessa lingua o vivere sulla stessa terra, serve in primis un progetto comune del quale tutti i cittadini si sentano partecipi.

Le donne rivestono un ruolo di fondamentale importanza. C’è un passaggio del libro che dice: “Col tempo le donne capiranno che la disinibizione è un modo per affrancarsi dalla nostra condizione di sudditanza dal sesso maschile”. Fin quando la disinibizione può costituire un vantaggio per la donna nella società attuale?

Quando andavo al liceo negli anni ‘80, c’era ancora una mentalità e un linguaggio eccessivamente maschilista. Troppo spesso sentivo dire che se un uomo aveva molte donne questo era un titolo di merito, mentre una donna che aveva vissuto più di qualche relazione doveva per forza essere una poco di buono. Per fortuna, oggi non è più cosi, le persone non devono essere giudicate sulla base dei loro comportamenti sessuali e tanto meno una donna. Proprio dagli anni 30 in poi , come cito nel romanzo la donna ha saputo costruire una sua via alla emancipazione, culminata poi negli anni ‘70. Di certo ad ogni singola donna resta la libertà di una  scelta di fondo sul rapporto con il proprio corpo; vivere il corpo come strumento per comunicare il proprio amore o anche una semplice passione, oppure usare il proprio corpo come scorciatoia. Ecco ritengo che questa sia una opzione che consapevolmente ogni donna compie, e io sono felice di continuare a vedere che prevalentemente e per fortuna il corpo delle donne è un mezzo con il quale loro diffondono, ad ogni fortunato destinatario, amore e passione, senza chiedere nulla in cambio che non sia la condivisone di un sentimento.

Se le fosse offerta la possibilità di far leggere il suo libro direttamente a un politico, chi sceglierebbe?

Purtroppo, il politico al quale avrei sottoposto il mio romanzo non vive più, mi sarebbe piaciuto un mondo poter essere letto da Antonio Gramsci, poiché prima di tutti spiegava l’importanza del fatto che ogni  cambiamento doveva essere preceduto da una rivoluzione culturale, da una nuova mentalità. Gramsci sapeva bene che  diffondendo più cultura tra i ceti  popolari si sarebbe realizzato un effettivo riscatto sociale  che andava accompagnato con un salario migliore che permettesse a questi ultimi di poter  consumare e spendere di più. Oggi farei fatica a sceglierne uno, i politici odierni pensano più a tutelare interessi propri o corporativi piuttosto che a costruire una visione generale del Paese. Comunque tolte alcune meritorie eccezioni, mi sembra che i politici  leggano poco, altrimenti alcuni comportamenti sarebbero inspiegabili, chi legge molto e ama la letteratura conosce il bello dell’esistenza e ha la forza per rinunciare alle tentazioni riuscendo a stare lontano da comportamenti poco etici, pensando prima che a se stessi al bene della nostra comunità.

Carla Iannacone Fonte Leggeretutti