Due piccoli italiani: l’esordio registico di Paolo Sassanelli

In fuga da un paesino della Puglia, uno si chiama Salvatore, interpretato dal Francesco Colella di Nico, 1988, l’altro Felice, dalle fattezze del Paolo Sassanelli che, vantante un curriculum attoriale di circa cento titoli, firma con Due piccoli italiani il suo primo lungometraggio da regista.

Due “espulsi” dalla vita “normale” che decidono di prendersi una seconda possibilità sempre negatagli, avventurandosi tra Rotterdam e l’Islanda per scoprire cosa significhi sentirsi vivi e felici, nel corso di oltre un’ora e mezza di visione a proposito di cui Sassanelli osserva: “Questa storia parla di qualcosa a me molto vicino e che sempre mi commuove. Parla della fragilità delle persone e di come un equilibrio costruito attorno ad una vita monotona e apparentemente appagante possa essere scosso da un improvviso episodio traumatico. Ci sono persone che, affacciate sul parapetto della propria vita, guardano scorrere quelle degli altri. Sicure delle piccole cose intorno a loro, pensano che quella sia la vita e che non si possa fare molto altro”.

Ed è in maniera evidente più a commedie on the road estere che ad analoghi esempi italiani che guarda nel raccontare in fotogrammi la scoperta, da parte dei protagonisti, della gioia di esistere e di provare e ricevere affetto e amore, in uno strano triangolo di relazioni tipiche di una famiglia moderna; man mano che si aggiunge al loro percorso la tanto grottesca quanto generosa e stravagante Anke alias Rian Gerritsen, grassa biondona abbigliata con t-shirt dei Ramones.

Ma, se il cast funziona e le vivaci musiche per mano di Giorgio Giampà e Gyda Valtysdottir risultano funzionali richiamando alla memoria anche una certa tipologia di spettacolo leggero alla vecchia maniera, la sceneggiatura riesce difficilmente a risultare coinvolgente ed a fornire elementi e situazioni capaci di apparire accattivanti e divertenti.

Con la conseguenza che, tra lecca lecca fallici, un paio di  gag a base di prostitute e l’icona della commedia sexy degli anni Settanta Dagmar Lassander tirata in ballo in un piccolo ruolo, ci si annoia molto e si ride poco in Due piccoli indiani… fino all’immancabile risvolto drammatico in chiara ricerca di commozione che manifesta, però, il sapore del tipico stratagemma furbetto da cinema tricolore d’inizio XXI secolo.

 

 

Francesco Lomuscio