Achille Tarallo: note napoletane al gusto di caffè

In Achille Tarallo il protagonista del titolo (Biagio Izzo) è un autista di autobus con una grande passione per la musica. Talmente grande da spingerlo a impiegare quasi tutto il suo tempo libero a comporre canzoni dai testi improbabili insieme agli amici di sempre (Ascanio Celestini e Tony Tammaro), i quali si esibiscono insieme a lui ai matrimoni. Nessuno, a parte gli amici e il suo cagnolino, sembrano comprendere fino in fondo questa sua passione. Men che meno sua moglie. Nella sua quotidianità, dunque, possiamo leggere il desiderio di un uomo comune di trovare, finalmente, il proprio posto nel mondo e, soprattutto, la tanto agognata felicità.

La storia di un singolo che, in realtà, si fa ritratto di un intero popolo, quello di Napoli, tanto soggetto a stereotipi di ogni genere, quanto profondamente amato dal regista partenopeo Antonio Capuano, il quale, da ormai diversi anni a questa parte, si è fatto suo affezionato cantore.

E così, a tre anni dal suo ultimo lavoro (Bagnoli Jungle, presentato alla settantaduesima Mostra d’arte cinematografica di Venezia all’interno della sezione Giornate degli Autori), il regista dà vita ad un film in cui, sotto forma di commedia musicale, anche qui intende tracciare un ritratto degli abitanti di Napoli, con tutte le loro bizzarre abitudini (prima fra tutte lo spropositato amore per il caffè, bevuto addirittura dal cane-alter ego del protagonista) e il loro singolare modo di essere.

E nel farlo si dimostra, di fatto, assai esperto. Se si pensa, infatti, a una regia che ha quasi del documentaristico, con colori al limite della saturazione, con un copioso uso di camera a spalla e inquadrature spesso sghembe che prevedono movimenti di macchina che sembrano non voler seguire alcuna logica apparente, l’impressione che si ha è – più che della storia di un singolo – quella di un vero e proprio carosello di personaggi bizzarri e volutamente sopra le righe.

Personaggi atti sì a far ridere delle stranezze del popolo napoletano, ma che rivelano, al contempo, lo sguardo affettuoso dello stesso regista nei loro confronti.

Ma il problema di Achille Tarallo è proprio la difficoltà a perseguire un filo conduttore ben definito, risultando, di conseguenza, eccessivamente sfilacciato, con ritmi pericolosamente discontinui e scene che sembrano inserite a forza all’interno della messa in scena senza logica alcuna (vedi l’incontro sessuale tra lo stesso Achille e la sua amante, giusto per fare un esempio).

Un prodotto sì a tratti divertente, ma che, di fatto, lascia non poche perplessità e che, rispetto ai precedenti lavori dell’autore napoletano, appare inevitabilmente meno riuscito.

 

 

Marina Pavido