La donna elettrica: oltre i confini dell’Islanda

Pur avendo girato, fino a oggi, soltanto due lungometraggi (Storie di cavalli e di uomini, del 2013, e La donna elettrica, realizzato nel 2018), Benedikt Erlingsson è, al momento, uno dei nomi di punta del cinema islandese contemporaneo.

Temi portanti delle sue opere: un grande amore per la propria terra e l’orgoglio nel voler mantenere vive le tradizioni. Così è stato per l’ottimo Storie di cavalli e di uomini, così è anche per La donna elettrica, presentato in anteprima al Festival di Cannes 2018 all’interno della Semaine de la Critique, nonché – com’è avvenuto anche per il precedente lavoro del regista – lungometraggio che verrà presentato dall’Islanda agli Oscar.

Se, però, nel primo lavoro Erlingsson restava esclusivamente all’interno del territorio nazionale, mettendo in scena bizzarri episodi di vita contadina, ne La donna elettrica i confini si annullano e dall’Islanda si va a finire addirittura in Ucraina.

La storia è quella della combattiva ed eccentrica Halla (Halldora Geirhardsdottir), la quale, al fine di difendere il proprio territorio dall’espandersi delle multinazionali, altro non fa che far saltare in continuazione la corrente, facendo sì che l’intero villaggio resti al buio e senza elettricità. La polizia, dal canto suo, non riesce in alcun modo a identificarla e ad arrestarla. Le cose, tuttavia, sembrano cambiare nel momento in cui una vecchia richiesta di adozione che la donna aveva inoltrato anni prima viene inaspettatamente accettata.

Con i classici toni della cinematografia nordeuropea – con tutte le sue commedie nere, spesso, ciniche, disincantate e, alcune volte, addirittura crudeli – il lungometraggio attinge a piene mani da diverse culture, abbandonando per un attimo la tipica “cattiveria” nordica e mettendo in scena, al contrario, una certa speranza verso il futuro e verso l’apertura a chi viene da mondi diversi.

Lo dimostra, in particolare, il bizzarro ma riuscito divertissement che vede un singolare coro ucraino comparire, di quando in quando, lungo il percorso della protagonista e che sembra svolgere addirittura il ruolo del coro dell’antico teatro greco e latino.

Menzione speciale ne La donna elettrica va fatta per il paesaggio: con le sue vaste distese a perdita d’occhio, l’Islanda qui rappresentata è trattata alla stregua di un vero e proprio personaggio e, per la sua maestosità, mette quasi in soggezione, quale prezioso patrimonio da difendere a spada tratta, anche a costo della propria vita e della propria libertà.

 

 

Marina Pavido