Climax: il controverso ritorno di Gaspar Noé

Se nel corso della sua carriera il cineasta di Buenos Aires Gaspar Noé ha sempre trovato un modo per far parlare di sé, lo stesso vale per Climax, la sua ultima fatica.

Ispirato a fatti realmente accaduti nel 1996, il lungometraggio ci viene presentato da una didascalia come un “vero film francese”. Cosa significa ciò? Probabilmente, il regista vuole muovere una critica nei confronti di una nazione in cui la droga circola ancora liberamente. Nel film, infatti, è proprio questo il tema centrale: la perdita di ogni freno inibitorio, fino ad arrivare al più impensabile abbrutimento.

Climax si apre con una serie di filmati proiettati sul piccolo schermo di un televisore. Uno dopo l’altro, una serie di ballerini si presentano, parlando di sé e della possibilità di iniziare una tournée negli Stati Uniti.

Dopo un inizio del genere, atto a far sì che lo spettatore possa in qualche modo orientarsi all’interno di questo film corale, inizia la parte registicamente più interessante. Se, infatti, è all’inizio una riuscita coreografia ad intrattenerci per pochi minuti, poco dopo l’inizio della festa, all’interno della palestra in cui i ragazzi si sono esibiti, tutto cambia improvvisamente.

Sono due lunghi pianosequenza a fare da padroni di casa per quasi tutto il resto del lungometraggio: il primo di circa dieci minuti, il secondo di oltre un’ora.

Nel frattempo, con un riuscito crescendo man mano che ci si avvicina al finale, la macchina da presa inizia a muoversi sempre più freneticamente, con tanto di momenti in cui la vediamo totalmente capovolta.

E se tali scelte registiche non risultano particolarmente nuove all’interno della filmografia di Noé, sono comunque qui assai pertinenti.

Climax, sorta di atipico thriller senza colpevole certo e senza movente, è un’ulteriore conferma dell’inesauribile voglia di sperimentare di Gaspar Noé, uno dei cineasti più controversi dei nostri giorni.

 

 

Marina Pavido