Una famiglia al tappeto: wrestling e donne

Il mondo del wrestling e la ricerca della felicità con i suoi compromessi: due temi distanti che collidono nel film diretto da Stephen Merchant, già creatore della sitcom The office e a suo agio con atmosfere surreali e vagamente demenziali.

Una famiglia al tappeto, che nella versione originale suona un po’ meglio con Fighting with my family, racconta la storia vera di Saraya “Paige” Bevis (già soggetto in un documentario quasi omonimo del 2012: The wrestler, fighting with my family), che sullo schermo ha il volto  – multiforme, capace di passare dalle ruvidità di Lady Macbeth all’horror sociale di Midsommar – Il villaggio dei dannati, fino alle levità di Merchant – di Florence Pugh, e che incrocia in maniera divertente e intelligente la natura simulata del wrestling con lo stravolgimento dei biopic al cinema.

Non prendersi troppo sul serio per essere seriamente felici: sembra essere questo il sottotesto, suggerito anche dalla presenza cameo di Dwayne Johnson e Vince Vaughn.

Il personaggio di Paige, complice la bravura della sua interprete, compie un percorso ad ostacoli tra pregiudizi e isolamenti sportivi: smarca la banalità con un affannato slalom declinando toni sempre differenti, retti in modo impeccabile dal cast.

La somma delle parti è, quindi, meglio dei singoli componenti: rivalsa femminile, considerazioni sulla felicità, cortocircuiti sul wrestling.  Un racconto di formazione sui generis che si sviluppa come un romanzo sportivo immerso in un simpatico ambiente proletario.

Niente di nuovo sotto il sole (specialmente dal punto di vista dei meccanismi narrativi), ma lo spirito anarchico di Merchant – che ha ben coltivato nella sua esperienza tv – sortisce un effetto straniante, seppur non innovativo. La Pugh è sempre un bel vedere, mentre Lena Headey (la Cercei de Il trono di spade) riesce a dare tratti di credibile cattiveria ad un personaggio a forte rischio melò. Come già detto, la somma è meglio delle singole parti.

 

 

GianLorenzo Franzì