Autobiography – Il ragazzo e il generale: ricordi intimi ed echi collettivi per Makbul Mubarak

Passato dalla critica cinematografica alla regia, ed ergo in un certo senso dalla teoria alla prassi, l’indonesiano Makbul Mubarak nel suo film d’esordio Autobiography – Il ragazzo e il generale palesa la conoscenza intima della materia narrativa trattata per legittimare sin dal debutto l’elezione ad autore con la “a” maiuscola.

Trarre partito dai propri ricordi, come figlio di un funzionario devoto al tirannico Suharto, reo di genocidio agli occhi dell’Onu, ed esporre il peculiare punto di vista in merito alla fedeltà che traligna l’onore nel disonore della penuria di umana pietas tramite la debita scrittura per immagini, frutto tanto della testimonianza diretta quanto dell’appassionato apprendimento di tenute stilistiche adatte allo scopo prefisso, costituisce comunque un azzardo.

Non bastano le giuste interpolazioni rispetto all’amarcord privato per portare l’acqua della vita all’affresco collettivo ricavando linfa dal valore aggiunto della geografia emozionale. Il proposito di seguire palmo a palmo le peripezie dell’acerbo Rakib mentre assiste in qualità di tuttofare l’ex generale Purnawinata, deciso a prendere le redini di un Paese svilito dagli atroci regolamenti di conti, comporta infatti l’intrinseco riverbero dell’altalena degli stati d’animo per mezzo dell’arcinota correlazione tra habitat ed esseri umani. I limiti dell’opera a tesi risultano dapprincipio compensati dal mix d’interni claustrofobici ed esterni rivelatori, dall’opportuno timbro antropologico ed etnografico impresso altresì alle figure di fianco, che ritraggono una popolazione attanagliata dal sentimento d’insicurezza, dagli stilemi del thriller congiunti ai tratti distintivi del romanzo di formazione. Incentrato sul canonico rapporto tra maestro e allievo. La trasparenza del messaggio ivo connesso si va ad appaiare all’efficacia cromatica ed elegiaca a supporto dello scandaglio ambientale.

Le strade, i villaggi, gli specchi d’acqua, la moschea, circondata dagli islamisti forti coi deboli e deboli coi forti, contribuiscono a cementare la densità evocativa dell’apologo sui legami di suolo contrapposti a quelli di sangue grazie al fascino della componente luministica. Alcuni tagli di luce vorrebbero così conferire alla crudezza oggettiva del film di denuncia un accrescimento di significato in grado di cogliere l’ampio contenuto di verità in ballo attraverso il valore di esponibilità dei luoghi percorsi dai dubbi snervanti, sconvolti dai dolorosi ricordi degli eccidi, completamente assorti dalla lotta giornaliera in difesa degli attacchi sconsiderati di chi venera solo ed esclusivamente il vil denaro. A lungo andare il vettore d’attrazione rinvenibile nell’intensa dimensione estetica, attinta a piene mani agli stilisti visivi d’oltreoceano, cede mestamente spazio all’infecondo estetismo. Rincarano l’inidonea dose i funebri sussulti dispiegati a macchia d’olio sino all’esaurimento, il mero tentativo di aggiungere in continuazione ulteriori tasselli a un mosaico a ben vedere assai risaputo e determinate pieghe drammaturgiche non immuni dall’enfasi di maniera. Tipica dei noir dall’impronta esistenziale.

Con le immancabili atmosfere piovose sugli scudi. Che non possono affatto nascondere lo schematismo del racconto. Sia quando regna l’innaturale calma sia nel momento in cui, da copione, i nodi vengono al pettine e l’ovvio pathos raggiunge lo zenith. Il pedinamento zavattiniano, che mostra nell’andirivieni dell’avventizio braccio destro schiavo delle convenzioni familiari la brevità dell’orizzonte percorso a dispetto della presunta grandiosità dell’operazione, veleggia in superficie. I frequenti sguardi in profondità, relegati soprattutto alla dinamica del campo e controcampo sulla falsariga di Jonathan Demme nell’inobliabile Il silenzio degli innocenti, restano perciò fini a se stessi. Autobiography – Il ragazzo e il generale, nonostante l’onesto intrattenimento garantito dalla buona prova interpretativa dell’intero cast, gira a vuoto. Senza mai disporre del polso necessario ad amalgamare, al di là delle vane lezioncine di morale, la contemplazione del reale e l’indagine introspettiva a braccetto con i segni d’ammicco degli echi cinefili.

 

 

Massimiliano Serriello