Doggy style – Quei bravi randagi: figli di cagna

Il titolo originale è Strays, quello italiano, con evidente omaggio scorsesiano, Doggy style – Quei bravi randagi, in chiaro riferimento al termine anglofono utilizzato per definire una delle posizioni sessuali maggiormente gettonate.

Il motivo? Sotto la regia del Josh Greenbaum dal curriculum legato per lo più al piccolo schermo, ci troviamo dinanzi ad un’operazione a base di cani parlanti, ma decisamente lontani da quelli educati e rassicuranti dei tempi di Senti chi parla adesso! di Tom Ropelewsky.

Un’operazione il cui avvio si presenta quasi sulla falsariga di Ted nell’immergere in un contesto sboccato un elemento tenero e non umano quale è il border terrier Reggie che, doppiato nella versione originale del lungometraggio da Will Ferrell, viene improvvisamente abbandonato dallo spregevole padrone Doug, interpretato da Will Forte.

Border terrier che, di conseguenza, trovati nuovi amici nel Boston terrier Bug, nel pastore australiano Maggie e nell’alano Hunter, doppiati in patria da Jamie Foxx, Isla Fisher e Randall Park, finisce per far parte della combriccola di randagi con un solo obiettivo: scovare Doug e mettere in atto la propria vendetta strappandogli a morsi… i genitali!

E già soltanto l’assurdo plot sceneggiato da Dan Perrault dovrebbe lasciar tranquillamente intendere quale possa essere il tenore generale di Doggy style – Quei bravi randagi, che, tra un discorso riguardante Io & Marley di David Frankel e un’ultima scenetta posta nei titoli di coda, riesce a strappare una risata soltanto grazie ad un’esilarante apparizione per l’attore Dennis Quaid.

Il resto, infatti, in mezzo ai protagonisti a quattro zampe che si nutrono di avanzi, manifestano la propria paura nei confronti dei fuochi d’artificio, parlano di sesso e copulano con oggetti assortiti, non si riduce altro che ad un tanto veloce quanto noioso agglomerato di volgarità gratuite capaci di divertire soltanto un pubblico molto poco esigente o, come nel caso della sequenza del bagno d’urina (!!!), fornito di gusto fetish di taglio per lo più bisex.

Perché, con incluse nel mucchio un’esperienza allucinogena, un momento altamente disgustoso a base di escrementi e un altro trashissimo in cui si tira in ballo un’erezione canina, Doggy style – Quei bravi randagi non sembra essere altro che l’ennesimo risultato dei danni che la tendenza a sponsorizzare di continuo la fluidità di genere sta facendo nel terzo millennio al cinema (e non solo).

 

 

Francesco Lomuscio