Dune – Parte due: potere sulla Spezia significa potere su tutto

In Dune – Parte due la casata degli Atreides è stata sterminata. Paul Atreides e sua madre, Lady Jessica, si sono rifugiati dai Fremen sul pianeta Arrakis.

E se da un lato quest’ultima seguirà la strada da Reverenda Madre, Paul verrà scelto come condottiero e in seguito identificato in qualità di messia che, secondo un’antica profezia, libererà i Fremen dall’antica sottomissione. Abbracciare questo ruolo o meno cambierà radicalmente lo status quo dell’universo stesso.

Diciamolo subito: Dune – Parte due è un gran film. È cinema, quello vero, una splendida fusione tra un blockbuster e la celluloide autoriale, ed è superiore al primo capitolo sotto ogni aspetto. Le due ore e quarantacinque minuti di visione scorrono via piacevolmente e senza stancare lo spettatore (al contrario del tassello precedente), non vi sono punti morti ed esteticamente si mantiene sempre su un livello altissimo (sempre al contrario del tassello precedente) . Il regista Denis Villeneuve mostra, e, così facendo, spiega senza nemmeno il bisogno delle parole.

Crea un universo dove ogni dettaglio ci consente di comprendere la cultura di un popolo (dagli oggetti per l’estrazione e conservazione dell’acqua al valore di una semplice singola lacrima, per i Fremen, alla oscura violenza del mondo degli Harkonnenn), utilizzando una messa in scena impeccabile che non perde mai il giusto equilibrio tra narrazione ed estetica regalandoci – grazie anche ad una CGI mai invasiva – sequenze sbalorditive; come l’incursione sulla gigantesca macchina per il raccolto della Spezia, il primo tentativo di cavalcata di un immenso verme delle sabbie o il mondo in bianco e nero degli Harkonnenn, illuminato dal loro sole oscuro. Il tutto accompagnato da un cast in stato di grazia, tranne una Zendaya non particolarmente efficace. Timothée Chalamet buca lo schermo ed è qui alla sua migliore interpretazione, rendendo benissimo il tormento di Paul sull’abbracciare o meno il proprio destino, tra pressioni interne ed esterne, con il desiderio di potere che si insinua in lui e che potrebbe portare alle catastrofiche visioni che tormentano i suoi sogni.

In una lenta evoluzione che subisce una brusca sferzata e che, quando questo accade, si manifesta appieno anche nel linguaggio del corpo. Rebecca Ferguson è semplicemente magnifica, comunicando infinite sfumature solo con gli occhi. Tra le nuove entrate si impone prepotentemente il Feyd-Rautha di Austin Butler, ferale sanguigno e inquietante, e ,infine, lo shakespearianamente decadente imperatore di Christopher Walken, penalizzato solo dal poco tempo sullo schermo. Ciliegina sulla torta, un sonoro da urlo e una colonna sonora di Hans Zimmer efficace e incredibilmente non eccessivamente autoreferenziale. Da notare come Villeneuve non abbia mai paura di prendersi sul serio e non cada mai nell’umorismo forzato tipico dei blockbuster, rendendo poi fondamentali, forti, complesse e potenti in Dune – Parte due le figure femminili , senza alcun bisogno di “girl power”.

 

 

Massimo Triggiani