Haunted Identity di Giuseppe Lo Conti

Haunted Identity è un film italiano del regista Giuseppe Lo Conti uscito nell’anno 2021. Sebbene parta come una ghost story delle più tipiche, imperniata sulla grande casa all’apparenza abitata da spettri ricevuta in eredità da una giovane orfana, da un certo punto in avanti assume connotati decisamente più gialli, sfociando poi nel vero e proprio thriller psicologico. Le idee di fondo di questo film indipendente a basso budget non sono male, ma purtroppo sono molti i deficit che lo portano spesso sul binario dell’amatorialità, tra i quali un cast non certo all’altezza e purtroppo alcuni evidentissimi buchi di sceneggiatura che interrompono la continuità dell’opera, portandoci talvolta a sbattere gli occhi per capire se per caso abbiamo avuto un colpo di sonno o davvero siamo passati da una scena all’altra in maniera così discontinua che non si riesce a cogliere il senso di ciò che sta accadendo. Peccato perché io sostengo sempre che anche il low budget, se ben sfruttato, può dare ottimi risultati, e ce lo dimostrano nomi del nostrale panorama indipendente quali Pupi Oggiano, Ivan Zuccon, Alex Visani, che, rivolgendosi ad attori professionisti e molto preparati, riescono a colmare grazie alla credibilità i vuoti lasciati per forza di cose dalla mancanza sostanziale di fondi. Purtroppo qui le prove attoriali sono spesso imbarazzanti, soprattutto quelle dei protagonisti maschili, rendendoci davvero difficile il farsi trasportare dagli eventi immergendosi nella storia, nonostante il discreto soggetto di partenza e la bellissima e suggestiva villa che funge da location principale.

Erika e Federica sono amiche per la pelle. Un giorno Erika, orfana di entrambi i genitori e cresciuta in un istituto per trovatelli, riceve la visita di un notaio che la informa di aver ottenuto in eredità una grande e bellissima villa. Dapprima scettica, la ragazza si farà infine convincere ad accettare l’immobile, e nel fine settimana lei, Federica, ed i rispettivi fidanzati, Max e Gabriele, si recheranno sul posto per vedere in che stato si trovi la casa, nella speranza, peraltro, di scoprirvi all’interno qualche informazione in più sulla famiglia di Erika. La villa è molto bella ed elegantemente arredata, ed all’inizio tutto sembra andare per il meglio, quando pian piano la dolce ed innamorata Erika comincerà a cambiare, adottando atteggiamenti sempre più aggressivi, perversi e violenti nei confronti dei suoi amici e del suo ragazzo. Inoltre un uomo si presenterà al cancello della villa spronando i ragazzi ad andarsene prima possibile se tengono alla propria incolumità fisica e mentale. Cosa sta succedendo all’interno di quelle vecchie mura? Quali forze a lungo sopite si sono risvegliate con l’arrivo dei quattro ragazzi? Cosa è successo alla candida Erika?

I presupposti per creare un buon film di tensione ci sono tutti, tanto che all’inizio, se si riesce a passare sopra all’inverosimile interpretazione dei due maschietti, la narrazione coinvolge abbastanza, aprendo la mente a svariati interrogativi che tengono alta l’asticella dell’attenzione. Ma poi, dopo l’arrivo nella casa, tutto cambia, ogni cosa inizia ad essere caotica, ma non quel caotico giusto che serve per confondere mantenendo comunque una propria logica, bensì tutto prende il sapore dell’illogicità. Ed a poco servono alcune belle trovate, che vanno a ricompattarsi nel finale, come ad esempio Erika che in una scena è vestita di bianco e nell’altra di nero, suggerendoci qualcosa come uno sdoppiamento di personalità che si concretizza nel cambiamento di colore degli abiti della protagonista. L’idea è buona, quando finalmente viene spiegata, ma il modo di realizzarla è a dir poco esile e davvero poco credibile e coinvolgente. Non è confusione enigmatica sana quella che si genere guardando Haunted Identity, bensì caos generato da una sinceramente labile accuratezza nel costruire il mistero fondante e catartico che gira intorno a Erika ed alla sua famiglia di cui nessuno sembra sapere nulla.

Nonostante tutto, il labirintico virare tra storie di sdoppiamento di personalità e fratelli nascosti in un passato che riaffiora potrebbe anche non essere male, se a supportare il tutto ci fossero degli attori degni di tale nome, ma purtroppo pare che il cast rappresenti davvero il tallone d’Achille di questo prodotto, come di una buona fetta dell’underground made in Italy. È vero, si tratta di un film siciliano girato in Sicilia con attori siciliani, ma possibile che non ci fosse qualcuno, nelle varie scuole di teatro, che sapesse usare una dizione quanto meno ascoltabile? Passi la protagonista, Alessia Tramutola, che non ci regala una pessima prova, e che si mostra disinibita e senza veli in scene a discreto tasso erotico; passi anche la comprimaria, la bellissima modella messicana Johanna Santos, che pur essendo straniera parla italiano meglio dei madrelingua; ma non si riescono proprio a tollerare i due protagonisti maschili, dalla marcata calata sicula, lo sguardo vacuo e i riflessi ritardati, che rendono impossibile qualsiasi tentativo di immedesimazione nella vicenda narrataci. Ma possibile che non sia stato fatto un casting? Possibile che, se la risposta è affermativa, non si sia presentato nessuno un po’ più capace? Qualcuno, magari, che venga dal teatro e sappia gestire con padronanza la nostra bella lingua italiana? Sono queste cose che mi fanno capire perché molto spesso il cinema italiano sia bistrattato dagli Italiani stessi, in quanto ci si trova davanti ad una recitazione cosiddetta “da parrocchia” che dà ai nervi anche ad una sostenitrice accanita del Made in Italy come me.

Chi mi conosce lo sa bene: io sono sempre dalla parte di chi osa, ed appoggio ogni buon tentativo di fare cinema con due soldi, ma quello che non riesco a tollerare è la poca importanza che sembra venga data in Italia alla scelta del cast! Com’è possibile che mentre si girava nessuno si accorgesse che i due attori non erano al livello, anch’esso non eccelso ma quantomeno accettabile, delle due partner femminili? Insomma, passo spesso sopra a tante carenze e mancanze, quando vedo la buona volontà, perché ormai sono anni che bazzico l’ambiente dell’indipendente italiano, ma ciò che proprio non riesco a tollerare è la sciatteria, il tirar via. Ho visto nascere una marea di film da dieci lire, ma con una cura, una passione, una ricerca del dettaglio da far spesso invidia alle grandi produzioni. Perciò non riesco a perdonare chi invece non ci prova nemmeno, affidandosi a un discreto soggetto, una bella location, una certa padronanza della macchina da presa, e sperando che il resto venga da sé… Apprezzo, quindi, l’idea, e la determinazione del regista nel portare in fondo il suo progetto, che ad un certo punto si è anche stoppato a causa del Covid; l’amore per la sua prima sceneggiatura, che ha fatto diventare film in soli 18 giorni, è sicuramente da lodare, ma avrebbe dovuto aspirare a di più, molto di più, e pazienza se invece di due anni di pre-produzione ce ne volevano tre, alla fine è il risultato quello che rimane, quello che conta.

Lo Conti ha un discreto talento, sebbene sia intuibile la sua formazione forse un po’ troppo accademica e quindi priva di guizzi; le idee non gli mancano, e sicuramente sa dirigere. L’augurio è che questo giovane possa apportare in futuro il suo contributo al cinema italiano di genere facendo leva non solo sulla buona volontà e su una certa creatività, ma anche su un apparato di attori e professionisti che in questo Haunted Identity è assolutamente mancato ma che, ne sono testimone diretta, si può trovare in moltissime produzioni low budget ed opere prime, basta avere voglia di cercare e di affidarsi a chi ne sa di più. Simpatica la decisione dello stesso Lo Conti di ricoprire un piccolo ruolo nel film, ed a dire il vero è risultato più convincente e credibile lui dei suoi cosiddetti attori. Forse avrebbe potuto e dovuto pensare, in mancanza di meglio, di rivestire lui il ruolo di Gabriele, o anche quello di Max. Ahimè, certi esordi tendono a declassare, e non a rimpolpare, il già non florido cinema italiano di genere, e dovrebbero essere evitati o quantomeno rivisti se davvero si volesse dimostrare amore al nostro cinema.

Inoltre il ritmo è lento ogni oltre limite, molto più di quanto richiesto alla costruzione della suspense, la colonna sonora è standard e assolutamente priva di qualsiasi originalità o spunto in grado di risvegliare in qualche modo lo spettatore dal torpore in cui si trova ad assistere inebetito alla visione. Da un regista che nasce come scrittore horror, inoltre, ci si sarebbero aspettati anche dialoghi meglio costruiti e meno arraffazzonati. Insomma, una sceneggiatura parcheggiata in un cassetto dal 2012, cominciata a girare e interrotta a causa della pandemia, meritava forse una maggior cura, e non il tagliare qua  e là tutto ciò che la situazione non permetteva, deturpandola ed impoverendola oltre ogni limite pur di vederla arrivare in fondo, più come un peso che ci si leva che come un’opera d’arte da portare al meritato compimento. Il risultato è un filmetto debole che non è né carne né pesce, un po’ horror, un po’ thriller, un po’ love story, che non fa né sussultare né battere il cuore. E poi le scene sul razzismo? Che senso hanno? Completamente slegate, buttate lì e banali, alla fine non trovano una spiegazione né una ragione.

 

https://www.imdb.com/title/tt14220878/

 

 

Ilaria Monfardini