Il ragazzo e l’airone: l’opera summa di Hayao Miyazaki

Aedo assoluto del cinema d’animazione, eletto a forma d’arte in grado di sciorinare la medesima forza immaginifica degli applauditi film d’autore con gli attori in carne ed ossa, l’ottantaduenne regista giapponese Hayao Miyazaki tira le somme della propria sagace prospettiva umana sulla scorta dell’ormai riconoscibilissimo timbro stilistico.

Utile per capire se nella sua opera summa, Il ragazzo e l’airone, l’avvertita opinione sul mondo, nonché sull’ordine naturale delle cose messo spesso in repentaglio dall’iniqua egemonia della cinica materia ai danni degli slanci dell’età verde, dia linfa all’opportuna pienezza contenutistica, a supporto della fragranza dell’originalità, o nasconda l’impasse di ripetere, finanche in zona Cesarini, la stessa solfa.

L’intensa vicenda dell’immusonito dodicenne Mahito Maki, trasferitosi nella casa di campagna a Natsuko dopo la dipartita dell’amata mamma insieme al severo padre ingegnere in procinto di risposarsi con l’estatica cognata, trae partito sul versante filosofico ed esistenzale dal toccante romanzo E voi come vivrete? del poliedrico scrittore Genzaburo Yoshino. Ciò non toglie nulla al senso della convivialità ad appannaggio dei proverbiali stilemi di Miyazaki. Lungi, certo, dal mutare segno rispetto ai capolavori ai quali deve la fama, La città incantata in testa, ma pure dall’allungare il brodo. Carne al fuoco c’è n’è a iosa. Tanto sotto il profilo narrativo quanto sul piano figurativo.

La ricerca del particolare carico di significato, l’immersione nella mesta solitudine del ragazzino costretto a crescere mentre impazza l’uragano di sangue e di fuoco del secondo conflitto mondiale, l’inevitabile dilatazione degli spazi fantastici, sull’esempio sempiterno di Alice nel paese delle meraviglie, l’emblematica scoperta della misteriosa torre dove sono custoditi segreti ora agghiaccianti ora intrisi di catartica speranza sopperiscono allo scarso estro di qualche modalità esplicativa di troppo. Aliena, sia in prassi sia in spirito, al centro nevralgico della poesia. Riscontrabile nell’aura ascetica. Sostituita dall’ovvio richiamo dell’avventura. Nondimeno, parallelamente alla molla dell’azione, che scongiura comunque il rischio di pagare dazio alla deleteria noia di piombo, scatta altresì quella della parabola utopica. Supportata a dovere dai vorticosi ed empatici movimenti di macchina dal basso all’alto, dal fulgido carrello in direzione opposta al momento giusto, dalla dirompente irruzione in chiave onirica. Col corridoio del tempo sugli scudi.

Il controcampo dell’ilarità affidata all’airone grigio che cela dietro l’incerottato becco le sembianze del permaloso paria di turno suona come un mero riempitivo aggiunto. Anziché alla stregua d’un fecondo omaggio all’inesauribile capacità di far riflettere ironicamente persino gli spettatori più alteri. Tornati magicamente bambini. L’incantesimo risulta in questo caso troppo programmatico per rapire nella commozione un’ampia platea di grandi e piccini. Contenti di riconoscere nel groviglio dell’ennesimo sogno ad occhi aperti le virtù della meditazione che ribalta l’onnipresente fascino dell’enigma nel cilindro del solerte prestigiatore intento ad appaiare l’assenattezza delle vetuste generazioni al gorgo mentale ed emotivo delle nuove leve in grado di recepire al meglio il valore dei vincoli familiari. Osservati mediante l’inossidabile grazia sincera, l’immedesimazione nella briosa ed eterogenea galleria di ritratti, lo stupore derivato dagli eventi che esulano dall’ordinario. Il ragazzo e l’airone appartiene quindi di diritto al repertorio del sensibile maestro nipponico. Sprovvisto però, nonostante l’extrema ratio ravvisabile nell’epilogo in sordina, dell’antiretorica che sancisce l’investitura dei misurati tocchi cromatici ad autentici moti dell’anima.

 

 

Massimiliano Serriello