La vita invisibile di Eurídice Gusmão: due sorelle e il loro destino

La vita invisibile di Eurídice Gusmão nasce dalla trasposizione del romanzo omonimo di Martha Batalha, edito in Italia da Feltrinelli.

Un lungometraggio che ha avuto dalla critica un riscontro così positivo da vincere all’ultimo festival di Cannes 2019 il Premio Miglior Film nella sezione “Un Certain Regard” , nonché la candidatura all’Oscar, per il Brasile, come miglior film straniero.

Ambientata in una Rio De Janeiro degli anni Cinquanta, la vicenda narrata ruota attorno alla vita di due sorelle, Guida (Julia Stockler) ed Euridice (Carol Duarte), in lotta con i retaggi di una società patriarcale. Legate tra loro fin dalla tenera età, il padre Manoel (Antònio Fonseca) finisce per essere l’artefice del loro involontario allontanamento.

In preda al sogno dell’amore della sua vita, Guida scappa insieme a un marinaio in Grecia, per poi tornare in dolce attesa, con la razionalità di aver capito il suo errore di gioventù. L’amara realtà sarà quella di essere cacciata di casa dallo stesso padre, accecato dalla vergogna e dalle conseguenze. Euridice, invece, appassionata di musica, sogna la carriera come pianista classica, ma deve fare i conti con un marito che proverà poi ad ostacolarla. Un destino ingiusto per un allontanamento di affetti, che insieme alle inevitabili prove della vita contribuirà al loro percorso di emancipazione, senza però farle allontanare dai loro sogni, conservando la speranza di potersi ricongiungere.

Un susseguirsi di avvenimenti, dove lo scorrere degli anni che passano viene scandito dalla voce fuori campo dell’io narrante di Guida, intenta a scrivere nel tempo a sua sorella, rispolverando nello spettatore il ricordo dell’emozione per la classica missiva e l’ansia della volontà di saperla nelle mani del ricevente.

“Ero intenzionato a raccontare una storia di solidarietà” – ha dichiarato il regista Karim Aïnouz – “una storia che sottolineasse il fatto che siamo molto più forti insieme di quanto lo siamo da soli, indipendentemente da quanto potremmo essere diversi. Con La vita invisibile di Eurídice Gusmão ho immaginato un film dai colori molto saturi, con l’obbiettivo molto vicino ai personaggi, che palpitasse insieme a loro. Ho immaginato un film pieno di sensualità, di musica, di dramma, lacrime, sudore e mascara, ma anche un film gravido di crudeltà, violenza e sesso; un film che non ha paura di essere sentimentale, più grande della vita stessa – un film che battesse con i cuori delle mie due amate protagoniste: Guida ed Eurídice.”

Quindi, un film crudo che ci permette di riflettere anche sul mondo odierno e la comunicazione di oggi, perché una storia analoga assumerebbe adesso un sapore assai diverso.

 

 

Alessandra Broglia