Matteo Rovere: “Il primo re è una storia mostruosamente importante che appartiene a ognuno di noi”

Il primo re è una storia di archetipi. L’amore fraterno, la lotta, il dualismo, la religione come strumento di coesione di una comunità e la creazione di qualcosa di nuovo sono archetipi che, letti in chiave mitologica, non vengono praticamente mai messi in scena nel cinema italiano contemporaneo”.

A parlare è Matteo Rovere, il quale, in occasione dell’uscita de Il primo re, suo quarto lungometraggio da regista, ha incontrato il pubblico domenica 3 Febbraio 2019 presso il Nuovo Cinema Aquila di Roma. Un film, il suo, che mette in scena il rapporto tra i fratelli Romolo e Remo, fino alla fondazione della città di Roma. Un film che, dunque, sia per tematiche che per la stessa messa in scena, si rivela fin da subito una vera e propria chicca all’interno della cinematografia nostrana. Il pubblico ne è stato immediatamente conquistato.

“Non è stato facile tematizzare un racconto così importante. Il mito da cui siamo partiti è per sua natura freddo. Noi abbiamo cercato di dare un cuore a tutto ciò, mettendo in scena sì l’amore fraterno, sì la contrapposizione tra due forti personalità, ma anche e soprattutto due differenti caratteri che possono essere letti come gli aspetti di un’unica personalità” ha proseguito il regista.

Per quanto riguarda, invece, la città di Roma, che qui viene fondata, lo stesso Rovere ha affermato: “La scelta di non mostrare la città è stata adottata affinché ci si concentrasse esclusivamente sui due fratelli. Altrettanto è stato fatto con le civiltà più evolute che già abitavano la zona. Personalmente, l’idea che un gruppo di barbari percorresse un così lungo tragitto a piedi, fino a fondare un impero come quello romano a scapito delle civiltà più evolute mi ha fin da subito affascinato.”

Un altro fattore degno di interesse all’interno de Il primo re è, indubbiamente, la lingua scelta. A tal proposito il regista ha affermato: “La lingua in cui il film è stato girato è un latino arcaico appositamente ricostruito da un gruppo di filologi provenienti dalle università romane. Al fine di ricostruire la lingua c’è a disposizione solo il codice indoeuropeo e alcune epigrafi. Personalmente, non avrei mai immaginato il mio film in una lingua che non fosse questa, anche se, quando l’ho proposto alla produzione, mi hanno dato quasi del pazzo”.

A proposito di chi ha prodotto il lungometraggio, in sala era presente anche Andrea Paris, il quale, soddisfatto del lavoro realizzato, ha detto: “Durante la lavorazione de Il primo re abbiamo dovuto affrontare molte sfide fin dall’inizio. Qui abbiamo potuto sperimentare anche diverse tecniche di realizzazione, come la commistione tra sequenze realizzate in digitale e altre in analogico. Un prodotto come questo fa parte della nuova ondata che si sta diffondendo in Italia già da qualche anno e che vede, finalmente, la diffusione e la promozione di un cinema di genere”.

Saranno davvero così forti i cambiamenti previsti da Paris all’interno del nostro cinema? Solo il tempo potrà dircelo.

 

Marina Pavido