Mondospettacolo incontra il cast e il regista di Glassboy, ispirato al cinema per ragazzi degli anni Ottanta

Glassboy rappresenta la realizzazione di un mio sogno. Quando sono arrivato a Roma nel 2005 e ho iniziato avevo il desiderio di produrre film per ragazzi, che si fanno molto spesso in Nord Europa e in Spagna. Fino ad oggi ho prodotto solo film d’autore e dedicati ai festival, ma mi riempie il cuore oggi poter presentare questo, spero solo il primo di una lunga serie di titoli dedicati ai ragazzi. È stato realizzato in co-produzione con la Svizzera e l’Austria, un progetto che parla italiano ma che si apre ad un pubblico europeo. Il fatto che stiamo uscendo in digitale mi provoca dolore, perché io ci tengo a precisare che produco per il cinema, ma l’incertezza della riapertura delle sale mi ha portato a seguire ciò che stanno facendo in molti per dare la luce ad un film che comincia ad avere un anno. Ovviamente, speriamo poi di recuperare quest’estate le sale e, soprattutto, di portare i bambini al cinema in occasione del prossimo anno scolastico”.

Affiancato dal regista e dal cast, parla alla stampa Emanuele Nespeca, produttore di Glassboy, opera seconda di Samuele Rossi, autore nel 2011 di La strada verso casa, liberamente ispirato al romanzo Il bambino di vetro di Fabrizio Silei e disponibile sulle principali piattaforme streaming a partire dal 1° Febbraio 2021.

Il Samuele Rossi che, interessato a realizzare un film sull’infanzia e a portare avanti una lotta per il cinema di genere e, in questo caso, per ragazzi, osserva: “Il film è una summa di tutti i riferimenti cinematografici americani che io ho attraversato e vissuto da spettatore, dalla Disney a Spielberg, a Zemeckis. Poi ci sono I Goonies, E.T. – L’extraterrestre, Stand by me – Ricordo di un’estate e Hook – Capitan uncino. La cosa che mi ha sempre colpito è che in qualsiasi di queste pellicole l’infanzia è stata sempre raccontata come il modo di superare una fragilità Non lo avrei mai desiderato, ma Glassboy è diventato un po’ profetico, perché purtroppo parla di un bambino chiuso in casa a causa di una malattia e ci porta a ciò che oggi tanti ragazzini stanno vivendo. Una situazione drammatica, in quanto togliere la possibilità di vivere il fuori pesa a noi adulti, figuriamoci a coloro che ancora non hanno avuto la possibilità di esplorare il mondo”.

Bambino che è l’undicenne Pino incarnato da Andrea Arru, confinato nella grande villa in cui vive a causa di una malattia ereditaria che ne mette a rischio l’esistenza e che entra a far parte dello sgangherato gruppo degli Snerd, coetanei insieme ai quali rivaleggia con un gruppo avversario. Intraprendendo una strada verso l’emancipazione che ne mette alla prova la fragilità e le rigide regole della nonna Helena, cui concede anima e corpo una Loretta Goggi proto-Crudelia De Mon intenzionata a far valere le proprie convinzioni sul destino del nipote, e degli iperprotettivi genitori, ovvero David Paryla e una Giorgia Würth che, presente in videoconferenza, racconta: “Glassboy è stato un viaggio di testa e di cuore per la genuinità e l’entusiasmo del set, ma anche fisico, in quanto abbiamo girato nel Lazio, in Austria, in Calabria e in Liguria, tanto che sembrava quasi di essere in un documentario di National Geographic. È stato un gioco in cui ci siamo impegnati molto, ma anche divertiti. Io nel film sono la mamma di Andrea e la figlia di Loretta. Credo che nella vita sia capitato a molte di noi di essere ancora, allo stesso tempo, madri e figlie. Una situazione di grandissimo privilegio, ma anche una condizione molto responsabilizzante”.

Mentre la Goggi ricorda: “Quando mi è stato proposto questo ruolo mi ha interessata subito perché credevo in Samuele e perché so che tipo di produttore è Emanuele, quindi ho accettato prima ancora di leggere la sceneggiatura. Poi mi piaceva l’idea di tornare a fare ciò che facevo da ragazzina, in quanto facevo la tv dei ragazzi, che all’epoca era molto importante per il pubblico dei giovanissimi. Samuele dava addirittura significato ai colori dei vestiti che indossavo di volta in volta ed è riuscito a realizzare questo film conferendo l’impressione di una produzione americana. E lo dico con dispiacere, perché noi italiani siamo stati i primi a fare del buon cinema e dobbiamo tornare ad essere importanti nel settore. Per quanto riguarda il mio personaggio, si tratta di una donna un po’ dispotica, arrogante perché ha i soldi e che, quindi, pensa di poter gestire le vite della figlia, del genero e del nipote, che ha paura di perdere in quanto affetto dalla stessa malattia che aveva suo marito. Ma il troppo amore diciamo che può creare tanti danni”.

Una Goggi affiancata da un Massimo De Lorenzo dichiaratamente ispirato al maggiordomo de Gli aristogatti e che dichiara: “Io sono il braccio armato di Loretta in questa avventura, in realtà ancora più pazzo, cattivo e schizofrenico di lei. Io devo ammettere che, in generale, faccio molta fatica a leggere le sceneggiature, mentre questa l’ho letta in un’ora e mezza, la durata del film, perché era scritta bene e piacevole da leggere. È incredibile come il film sia venuto perfetto nonostante abbiamo girato le stesse scene in diverse città, con esterni e interni diversi e che, invece, poi combaciano. Il mio personaggio è oscuro, nero, quindi l’ho accettato anche con gusto, essendo diverso da quelli che mi si affidano di solito. Colgo inoltre l’occasione per fare i complimenti a tutti i bambini, talmente immedesimati nei loro ruoli da riuscire a sdoppiarsi, tra l’amore che avevano per me sul set e l’odio nei confronti del mio personaggio”.

I bambini che, oltre al già menzionato, Arru, ricordiamo sono Stefano Trapuzzano, Rosa Barbolini, Mia Polemari e Gabriel Mannozzi De Cristopharo, tutti propensi a confermare che sul set si è creata una famiglia e a ribadire come abbiano vissuto non benissimo questo ultimo anno di emergenza sanitaria dettata dal Coronavirus.

I piccoli volti che completano il cast di Glassboy insieme ad un Giorgio Colangeli dottore, il quale non manca di esternare la propria ammirazione nei confronti di Rossi: “Io ho una grandissima stima per Samuele. Apprezzo tanto il lavoro che svolge sull’attore, quindi mi sono sempre trovato bene con lui ed è uno dei motivi fondamentali per i quali ho deciso di prendere parte al film. Poi ho anche avuto motivi autobiografici per interpretarlo, perché io ho cominciato proprio con il Teatro ragazzi, tra il 1974 e il 1982, anni in cui il settore era particolarmente fervido. Ho dei ricordi bellissimi di quel periodo e mi piaceva in qualche modo rinfrescarlo in un film in cui i bambini e l’infanzia in generale sono protagonisti”.

 

Francesco Lomuscio