Monkey man: la vendetta di Dev Patel

È dalla leggenda di Hanuman, simbolo di forza e coraggio, che prende ispirazione Monkey man, primo lungometraggio diretto dall’attore britannico candidato all’Oscar Dev Patel, conosciuto in particolar modo per aver interpretato The millionaire di Danny Boyle e Lion – La strada verso casa di Garth Davis.

Ed è lo stesso Patel a vestire i panni di Kid, giovane anonimo che si guadagna da vivere in un fight club dove, indossando la maschera da gorilla cui fa riferimento il titolo del film, in cambio di denaro si fa picchiare a sangue da lottatori più famosi.

Fino al momento in cui, dopo anni di rabbia repressa, trova il modo per infiltrarsi nell’enclave della sinistra élite della città, in cerca di qualcuno che deve uccidere in quanto, come si scopre presto, lo privò della madre.

Quel qualcuno che, facente parte di leader corrotti che continuano a sistematicamente a vittimizzare poveri e deboli, diventa dunque il suo bersaglio in un lento incedere narrativo intervallato da flashback relativi al passato e occasionalmente interrotto da violenti scontri corpo a corpo non privi di splatter: da quello che si consuma all’interno di un bagno sulle note di una rilettura della sempreverde Somebody to love ad un altro accompagnato, invece, da Rivers of Babylon dei Boney M..

Scontri influenzati nella messa in scena, in maniera evidente, dalle sequenze d’azione viste nella popolarissima saga John Wick; tanto più che non solo l’agile ex sicario dal volto di Keanu Reeves viene anche citato verbalmente, ma lo stesso Kid veste in scuro abito elegante proprio come lui.

Ma, con lo Sharlto Copley di District 9 e A-Team incluso nel cast nel ruolo di Tiger, ovvero il presentatore e organizzatore dei sopra menzionati incontri di lotta, Monkey man non si limita ad essere un prodotto action volto al facile intrattenimento a suon di botte da orbi e pallottole volanti, bensì si rivela infarcito di non pochi sottotesti sociali riguardanti, appunto, il classismo e la critica a determinate realtà politico-borghesi.

D’altra parte, a figurare tra i produttori è il Jordan Peele che questa tipologia d’impegno in fotogrammi la include, da sempre, nei suoi horror da regista (da Scappa – Get out a Nope)… in questo caso, però, l’impressione è che la carne al fuoco sia decisamente troppa, rendendo il tutto niente più che un esercizio di stile oltretutto non sempre comprensibile.

 

 

Francesco Lomuscio