Recensione: Nome di donna, le molestie sessuali sul lavoro secondo Marco Tullio Giordana

Con eccezionale tempismo Marco Tullio Giordana torna con un film in cui mette in scena un’efficace storia scritta da Cristiana Mainardi: una lavoratrice subisce molestie da parte del suo superiore, il quale, abusando, evidentemente, di una posizione di potere, le chiede in cambio favori sessuali. Nina (Cristina Capotondi) è un’inserviente in una prestigiosa casa di cura per anziani, dove si è sciaguratamente radicata l’usanza, presso il personale femminile, di accettare le avance che il direttore (un gelido e viscido, e dunque assai in parte, Valerio Binasco) sistematicamente perpetra, fidando sulla silenziosa collusione delle sue vittime. Fino a quando non incappa nella protagonista, la quale, a fronte dell’ennesima proposta (non espressamente verbalizzata, ma chiaramente manifestata sul piano fisico) decide, non senza tentennamenti e paure, di denunciare il fatto e non acconsentire alla prosecuzione della miserabile prassi.

Nome di donna è un film più che mai necessario, laddove, evitando di scivolare nella retorica più prevedibile, svela quei perversi e sottili meccanismi che spesso inibiscono coloro che hanno subito ricatti psicologici a fini sessuali a ribellarsi; il tutto, però, senza degenerare, senza fare una battaglia ideologica confusionaria e inconsistente, piuttosto indicando con concretezza gli strumenti che il diritto attualmente mette a disposizione per tutelarsi da possibili abusi, o quanto meno per ottenere un’equa riparazione del danno e la condanna di chi ha commesso l’odioso reato. Smarcando brillantemente la trappola della partigianeria, della guerra di genere, ridicola e infruttuosa, Giordana e Mainardi offrono con il loro film l’opportunità di fruire di un cinema civile, che fornisce preziose informazioni, le quali, al netto delle sortite quotidiane cui abbiamo assistito negli ultimi tempi, davvero possono costituire un utile appiglio per aiutare tutte quelle donne che si trovano (o si sono trovate) nella situazione di Nina.

C’è una condizione indispensabile, però, da sottolineare, altrimenti si continuerebbe ad alimentare un increscioso equivoco: il reato deve essere denunciato in tempi ragionevoli, cioè quando è ancora possibile constatare, attraverso un’eventuale indagine condotta dalla magistratura, le responsabilità. Parlarne anni dopo, va da sé, può valere in termini di presa di coscienza sociale di una sgradevole tendenza, certamente da sradicare, ma risulta ininfluente in riferimento alla possibilità di poter contrastare concretamente il fenomeno. La giurisprudenza, oggi, si sta orientando energicamente verso la tutela non solo delle vittime degli abusi, ma anche di coloro che sono sottoposti all’induzione, cioè alla richiesta ricattatoria di favori sessuali e non: con la sentenza n. 33049 del 17/05/2016, depositata nel luglio dello stesso anno, la Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Penale (Presidente Rosi, Estensore Gai) ha avuto modo di pronunciarsi circa il rapporto tra violenza sessuale per costrizione (ex art. 609 bis) e induzione indebita a dare o promettere utilità (ex art. 319 quater c.p.).

Allora, ben venga l’indomita avvocatessa Tina Della Rovere (la sempre brava Michela Cescon), che utilizza gli opportuni mezzi per condurre una lotta che può compiersi efficacemente solo a partire da una piattaforma di diritto, con tutti gli effetti virtuosi che si producono anche sul piano dell’evoluzione antropologica, in sé assai lenta e priva di saldi riferimenti. Ottima, infine, Adriana Asti che illumina il film con alcune impennate di bravura che allietano infinitamente lo spettatore, il quale non può non tornare con la memoria a tutto quello straordinario cinema che la vide protagonista. Sui titoli di coda, chiude magnificamente Aretha Franklin che intona Natural woman: “’Cause you make me feel, You make me feel, You make me feel like A natural woman”.

Nome di donna è un film lucido, onesto, concreto, realizzato all’interno della cornice di un cinema civile, necessario, utile. Insomma, un’opera oggi più che mai da vedere.

Luca Biscontini