Oppenheimer: la bomba di Nolan

Sempre alla ricerca di argomenti che vanno ben oltre l’esperienza filmica, Christopher Nolan abbandona momentaneamente idee di taglio fantastico e che vanno al di là dell’immaginazione per poter portare in scena con Oppenheimer un biography sentito e a lungo inseguito.

Una storia che parla della più pericolosa invenzione del Novecento e dell’uomo che si cela dietro la sua creazione, ovvero una delle pagine più nere della storia americana.

Per Nolan, quindi, la vicenda di J. Robert Oppenheimer deve essere stata un’occasione finalizzata a portare il proprio cinema verso parametri più sentiti, dato che stiamo parlando di colui che creò la bomba atomica, lanciata poi verso la fine della Seconda Guerra Mondiale su Hiroshima e Nagasaki. Una storia che sullo schermo era stata già raccontata in altre occasioni (pensiamo a L’ombra di mille soli del 1989, diretto da Roland Joffe e interpretato da Paul Newman) e che stavolta l’autore de Il cavaliere oscuro intende fare propria, traendo ispirazione dal libro biografico di Kai Bird e Martin J. Sherwin datato 2005. In Oppenheimer nei panni del protagonista, rinomato fisico statunitense attivo negli anni Quaranta, troviamo il Cillian Murphy di 28 giorni dopo, al servizio di un plot che si alterna tra passato e presente, ovvero durante e poco dopo la citata Seconda Guerra Mondiale, in modo che vengano mostrati gli sviluppi di una parte esistenziale di questo studioso, il quale dai banchi universitari finisce a servire l’esercito degli Stati Uniti durante il conflitto bellico, supervisionato dal generale Leslie Groves alias Matt Damon.

L’incarico è quello di creare un’arma capace di mettere in ginocchio il nemico e a stabilire un punto di non ritorno per la razza umana. E Oppenheimer arriva a tanto, ma le conseguenze della sua invenzione lo portano al cospetto di grandi sensi di colpa e molta ostilità da parte del suo governo, che dopo il conflitto mondiale lo indaga per sospettosi legami con il nemico russo. Dire che Oppenheimer sia un’opera che gioca parecchio in ambizione e desiderio di fare la differenza è poco, e Nolan, come sempre, abbraccia argomenti complicati all’occhio umano per immergerli in trame di grande intrattenimento, sebbene non sempre la sua narrativa spicchi per lucidità. In questa occasione tira fuori un film fiume della durata di tre ore, dal ritmo abbastanza trainante e gestito da una logica visiva che miscela passato (a colori) e presente (bianco e nero) alternati da un montaggio di impatto nolaniano (a cura di Jennier Lame) con lo scopo di mescolare il prima e dopo per porli in una sorta di faccia a faccia contemporaneo, analizzando causa e conseguenza di determinate scelte.

A completamento della sua personale narrazione, poi, Nolan riempie Oppenheimer di musica incalzante a firma di Ludwig Göransson. Un crescendo che accompagna lo spettatore e non lo molla mai fino al culmine di ciò che sostiene maggiormente questo lungometraggio: la dimostrazione della prima esplosione atomica testata (a detta del regista realizzata senza alcun effetto speciale digitale). Un fenomenale Robert Downey Jr., inoltre, impreziosisce ulteriormente il cast, insieme ai volti femminili di Emily Blunt e Florence Pugh (rispettivamente la moglie e la tormentata, spesso denudata, amante del protagonista) e a quelli di Casey Affleck, Rami Malek, Kenneth Branagh, Jason Clarke, Josh Hartnett, Alex Wolff, Matthew Modine, Dane DeHaan, James Remar, Tony Goldwin e, nel piccolo ruolo del presidente Truman, Gary Oldman. Oppemheimer, dunque, è a suo modo cinema puramente epico, anche se Nolan risente sempre di forti ambizioni e avrebbe magari potuto evitare determinate parentesi (il rapporto tra Robert e la Jean Tatlock della Pugh, per esempio) non proprio benevoli all’economia del film. Questo, se proprio si vuole trovare un difetto in questa riuscita biografia.

 

 

Mirko Lomuscio