Pacifiction – Un mondo sommerso: la vita colta di sorpresa da Albert Serra

Riuscire ad amalgamare l’impressione di cogliere la vita di sorpresa, sulla falsariga degli alfieri del New American Cinema, con la scoperta dell’alterità ad appannaggio della geografia emozionale costituisce una sfida tanto affascinante quanto impervia sul terreno sdrucciolevole dell’autorialità.

Ad Albert Serra, poliedrico ed estroso regista catalano avvezzo a rileggere in chiave personale e rigorosa vicende appartenenti alla mitologia o al corso conclamato della Storia, l’idea di congiungere stilemi agli antipodi, probabilmente incompatibili tra loro, lo stimola parecchio. Come dimostra Pacifiction – Un mondo sommerso. In cui l’eterogenea cifra stilistica, immessa dapprincipio nell’inconsueto road-movie El cant dels ocells ed evolutasi in seguito con l’intrigante film erotico Liberté, s’arricchisce dell’austerità ieratica degli apologhi ascetici.

Senza, però, buttare alle ortiche la capacità di far ridere amaramente, legata a ogni dissacratoria trasfigurazione, e le trovate figurative necessarie ad andare oltre l’impasse del formalismo estremo. Il contenuto, ed ergo la polpa o sostanza che dir si voglia, non manca certo in Pacifiction – Un mondo sommerso. Da una parte troneggia l’ordine naturale delle cose, con i tramonti rosso fuoco alla Via col vento imperanti nella Polinesia francese, a Tahiti, dall’altra spiccano i timbri antropologici ed etnografici appaiati negli evocativi interni, attinti a piene mani alla sagacia sperimentale di John Cassavetes, onde conferire ai frammenti d’intensa realtà la forza significante dell’aura contemplativa. Ravvisabile nella cura di dettagli in apparenza esornativi, nelle danze muliebri, nella sensualità delle ballerine locali, nei tempi dilatati ad arte in attesa di utopistiche vie d’intesa, nei modi espressivi rimestati in arredi antichi e moderni.

Con la tradizione degli antenati ma’ohi contrapposta all’impronta colonialista degli spazi destinati allo sfruttamento monetario. L’aderenza dell’esperto attore transalpino Benoît Magimel al tronfio personaggio del Governatore delle isole corrisponde all’andamento riflessivo dell’intreccio. L’infecondo sforzo dell’alto funzionario in doppio petto, che traligna in un disco rotto la costante opera di persuasione presso l’indocile popolazione, innesca vibranti variazioni sui temi già approfonditi in precedenza. La resa dell’uomo di potere, interpretato forse in maniera troppo gigionesca per procedere di pari passo con l’intrinseca linearità del racconto imperniata sugli schiaffi del destino ricevuti dagli opprimenti latifondisti, avviene palmo a palmo. L’egemonia dello spirito sulla materia prende piede step by step attraverso i compositi primi piani, le compiute reazioni mimiche, il leitmotiv degli infiniti preparativi, ora allo spettacolo di rito ora alle feste di commiato, l’effigie degli animali sacrificali in gabbia.

Non sempre l’influenza reciproca stabilita tra interni ed esterni, tra tropicalismo e alienazione, tra suspense meditabonda e slanci poetici consente al pur alacre Serra di ghermire i più sottili chiaroscuri relativi allo sfolgorio metafisico addensato nell’ombra. Insieme al fondato timore che all’orizzonte si manifesti, dietro l’egida bellica, il ritorno dei raccapriccianti test nucleari. Nondimeno la virtù di scrivere con la luce, padroneggiata a dovere dall’abile fotografia, consente ai segnali premonitori, disseminati negli anfratti dove l’intermezzo della fugace felicità risulta estraneo agli accordi del vil denaro, d’incidere sul serio. Trovando nel cifrario d’ogni anima un antidoto ai palesi debiti nei riguardi degli ineguagliabili Glauber Rocha e Werner Herzog. Così all’accidia delle idee ricavate dall’altrui ingegno, in merito al viaggio corporeo ed eminentemente simbolico nel territorio eletto a location, subentrano il peculiare disegno dei caratteri, i cortocircuiti elegiaci, impermeabili agli ovvi plagi camuffati da omaggi, la plausibile decadenza del papavero, ormai a corto di argomenti, l’apice della bizzarria, raggiunta nel desiderio di perdersi sulla scorta della distesa energia libidica, l’ansia di riscatto morale d’un ammiraglio al crepuscolo. Nell’epilogo gli effetti seducenti dell’avventura, scevra dai vani orpelli introspettivi e dagli indugi circostanziati, imprimono a Pacifiction – Un mondo sommerso la penetrazione psicologica delle opere folte d’input allegorici d’altissima scuola ed empiti umanistici che colpiscono dritto al cuore.

 

Massimiliano Serriello