Quattro vite: le facce di un’esistenza al femminile

Quattro donne. Quattro età diverse. Quattro storie. Un solo finale in Quattro vite.

Kiki (Vega Cuzytek), bambina di campagna, vive tranquilla la sua infanzia finché un gioco a nascondino con due amichetti si trasforma in una tragedia. Karine (Solène Rigot), irrequieta adolescente, evade da un ambiente familiare troppo pesante e passa da un uomo all’altro tra fughe e imprevisti.

Accanto alle loro storie c’è quella della ventenne Sandra (Adèle Exarchopoulos), che si trasferisce a Parigi, dove un uomo molto più grande la introduce nel mondo delle corse di cavalli e del gioco d’azzardo, spingendola quasi sull’orlo di un disastro.

Infine, c’è Renée (Adèle Haenel), una brava insegnante, attenta soprattutto agli studenti in difficoltà. Realizzata sul lavoro e convinta di aver raggiunto una certa serenità, Renée prova ad avere un figlio con il compagno. Si sente ormai al sicuro da un passato turbolento con cui cerca di chiudere definitivamente. Un giorno, però, una vecchia conoscenza legata a quel passato torna a trovarla in classe e la costringe ad affrontare una situazione che le cambia di nuovo la vita.

Lasciandosi ispirare dalla gioventù della co-sceneggiatrice Christelle Berthevas, Arnaud des Pallières racconta quattro età in maniera tutt’altro che cronologica. Quattro vite è una corsa a ritroso più che un percorso in avanti. Un salto all’indietro per arrivare a comprendere le origini di un’esistenza.

Il regista entra nella mente delle protagoniste e fa vedere ciò che accade attraverso il loro punto di vista. Gioca con lo spettatore e sparpaglia gli eventi sullo schermo come pezzi di un puzzle. Man mano che l’immagine prende forma è subito chiaro che le vite non sono quattro ma una, che le protagoniste femminili sono volti della stessa donna e sfaccettature di un’unica esistenza.

L’esistenza drammatica di un’eroina che, apparentemente sconfitta, alla fine è capace di fare la scelta giusta e di prendere in mano il proprio destino.

 

 

Valeria Gaetano