India Hotel – L’oscura trama della realtà è il nuovo spettacolo di Emilio Santoro, atto unico tratto dal romanzo Gua… dello stesso autore, diretto da Pino Loreti e in scena fino al 26 febbraio 2017 al Teatro Agorà.
La trama
India Hotel si apre con l’incontro tra Aristide Falerna, interpretato da un intenso Gianfranco Guerra, e Pino Loreti che veste egregiamente i panni del fisico quantistico freddo e cinico. L’incipit conduce subito lo spettatore in una dimensione onirica, in cui il ricordo e il sogno si mescolano alla realtà vissuta o apparentemente percepita da Aristide, un giornalista, la cui vita è stata irreparabilmente sconvolta da un incidente stradale, al quale è sopravvissuto senza ricordare assolutamente niente. Questo tragico evento avvolto da un fitto mistero sconvolgerà la psiche del protagonista e lo porterà ad investigare sulle dinamiche che lo hanno causato, fino a condurlo “davanti al sipario per sbirciare dietro” ed illuminare il palcoscenico della sua vita con l’agognata presunta verità.
Un giallo psicologico
La sottile linea d’ombra tra realtà e illusione è proprio il fil rouge di questa rappresentazione, a metà tra un viaggio psicologico introspettivo in cui è catapultato Aristide ed un giallo in cui sono coinvolti, a più livelli ed in un crescendo di tensione, diversi personaggi intrecciati tra loro in modo invisibile, ma indissolubile, come i fili simmetrici della tela di un ragno. Lo spettatore ha la sensazione che una forza superiore si diverta a tessere la ragnatela, a creare incastri, a distruggerli per poi ricostruirli in un gioco infinito che inganna la mente di Aristide, della sua compagna Tiziana, dell’amico Michele, della segretaria e della dottoressa Castelli, coinvolti anch’essi a malincuore ed a vario titolo nell’indagine sulla ricostruzione del drammatico evento.
Lo spettacolo non si limita ad indagare la vicenda personale del giornalista, ma offre lo spunto per collegarla in modo critico ad un terribile avvenimento della nostra storia, uno dei tanti misteri italiani irrisolti. Il disastro aereo in cui è stata coinvolta la madre di Isabella, figlia del paramedico che ha soccorso Aristide dopo l’incidente, non può che creare un parallelismo con un dramma fagocitato nell’oscurità e nel dedalo delle verità nascoste, manipolate dal sistema e far correre dolorosamente la nostra memoria ad Ustica. Lo spettatore è continuamente sollecitato a riflettere, cercare la propria verità, a discernere tra realtà e finzione, è partecipe del dramma emotivo di Aristide e successivamente della sua compagna Tiziana che tenterà di aiutarlo a superare il trauma subìto con l’aiuto della dottoressa Castelli.

Verità o finzione?
La storia si snoda a ritroso nel tempo verso l’antefatto, salendo da valle a monte fino all’origine dell’incidente, ma proprio il tempo e la sovrapposizione con lo spazio creeranno un vortice inestricabile di verità e finzione in cui il protagonista verrà attanagliato crudelmente e da cui potrà liberarsi solo “quando e se qualcuno deciderà di aprire la scatola” come nel singolare paradosso del gatto di Schrodinger, secondo il quale un oggetto quantistico non osservato può trovarsi in più stati differenti. Lo spettacolo ha un ritmo incalzante, come l’angoscia e la vorace curiosità e volontà del protagonista di scoprire in quale porzione di realtà illusoria stia vivendo ed agendo. Lo spettatore ha la costante sensazione che minuto dopo minuto la verità sarà di nuovo messa in discussione, destrutturata e ricreata, attraverso un caleidoscopico ed incessante gioco delle maschere ed alternanza di disperazione e turbamento, attraverso immagini video e dissolvenze.
Ogni scena aggiunge un tassello al mosaico e sembra svelare il mistero, ma in realtà istilla un nuovo dilaniante dilemma nel protagonista e nello spettatore, sottolineato dall’inquietante chiusura del sipario e da note musicali piene di suspense, queste ultime ad opera di Franco Marcangeli. Il buio cala denso ad ogni nuovo dubbio, la luce torna in scena a far apparentemente chiarezza su ogni elemento rinvenuto ed ipotesi, ma la mente di Aristide e dello spettatore è sempre più confusa, spaesata. Ogni rivelazione sembra determinante per capire l’epilogo della storia, per farci aggrappare alla consolante concatenazione logica dei fatti, ma ahimè verrà continuamente smentita come in un beffardo domino che farà cadere ogni certezza, brandello di verità presente nella coscienza di ognuno di noi.
La sensazione di smarrimento ed indeterminatezza della realtà, la consapevolezza della difficoltà di osservare il mondo da un punto di vista univoco, dell’impossibilità di scoprire la verità, perché essa stessa è un prodotto poliedrico e multisfaccettato della nostra mente e percezione, accompagna non solo il protagonista, ma insieme a lui gli spettatori, inconsapevoli creatori di senso ed interpreti della realtà scenica e soggettiva. L’immagine del tubo catodico e la televisione, creatrice per antonomasia nella moderna società di massa di realtà che scaturisce dalla finzione e viceversa, ci occhieggiano dal palco e sembrano ricordarci, come sosteneva Pirandello, che «la facoltà d’illuderci che la realtà d’oggi sia la sola vera, se da un canto ci sostiene, dall’altro ci precipita in un vuoto senza fine, perché la realtà d’oggi è destinata a scoprire l’illusione domani. E la vita non conclude. Non può concludere. Se domani conclude, è finita».

Questa la Pagina Ufficiale Facebook dello spettacolo India Hotel, in scena al Teatro Agorà di Roma fino al 26 febbraio.
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Anna Urru
(revisione e impaginazione Ivan Zingariello)
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