Recensione: Sole Cuore Amore, Isabella Ragonese vive solo per lavorare

Sole Cuore Amore

Isabella Ragonese è la protagonista di Sole Cuore Amore di Daniele Vicari, nei panni di una donna che lavora senza sosta dalla mattina alla sera per mantenere la propria famiglia

Lavoro, lavoro, lavoro

In Sole Cuore Amore, Eli (Isabella Ragonese) è una giovane donna di appena 34 anni, è sposata con Mario (Francesco Montanari) un uomo buono e affettuoso ma disoccupato e del tutto inetto socialmente, hanno fatto ben quattro figli, di cui l’ultimo ancora in fasce. Vive sul litorale laziale a circa due ore e mezzo dalla periferia di Roma e senza un attimo di tregua si sposta da casa al bar in cui lavora sette giorni su sette, dalle sette del mattino fino a tarda sera. Deve correre all’autobus che spesso porta ritardo o si rompe, deve prendere due metro e finalmente torna a casa oltre le ventidue. Insomma una vita ai limiti e fatta solo di sacrificio, ma trova la forza di sorridere ai figli e parlare col marito qualche minuto sul balcone di casa, mangia qualcosa rimasta per lei e si mette a letto addormentandosi subito, mentre il marito prova a fare l’amore con lei. Sveglia alle quattro e mezza, alle sette serve caffè e cornetti al bar del Tuscolano, nel pomeriggio prepara i dolci per il giorno dopo. Sempre col sorriso, sempre gentile con tutti per circa settecento euro al mese in nero che diventano meno quando lei arriva con qualche minuto di ritardo; perché il proprietario del bar, Nicola (Francesco Acquaroli) è sì gentile e bonario ma è anche un gran pezzo di m**** col denaro. Ma la storia di Eli non ha un gran respiro narrativo e il regista aggiunge un’altra storia, di fantasia: al piano di sotto del condominio dove vivono Eli e Mario, risiede la sua amica Vale (Eva Grieco), una trentenne malinconica e incerta su molte cose, che lavora come performer in discoteche e locali notturni del litorale e di giorno, a volte, fa da babysitter ai figli dell’amica, oltre a non riuscire a riconciliarsi con la propria madre borghese che la vorrebbe laureata in fisica e con un lavoro più consono. Naturalmente il lavoro e la vita di Eli è così stancante che inizia a perdere colpi e si ammala di cuore, dovrebbe curarsi e riposare ma questo non le è possibile…

Dalla cronaca allo schermo

Nelle cronache sul lavoro leggiamo spesso e distrattamente di uomini e donne che senza alcuna pietà muoiono letteralmente di stanchezza. Siano essi extracomunitari o italiani, nelle campagne o in città. Se ne è parlato per i raccoglitori di frutta in Puglia o in Campania, come proprio a Roma nel 2012 è capitato a Isabella Viola, 34enne di Torvaianica, morta nella metropolitana di cuore e la cui storia risulta identica a quella raccontata da Vicari (vedi articolo del Messaggero di quell’anno – chissà perché non c’è alcun riferimento alla donna e al fatto nei titoli o nella presentazione del film). Mentre vedevamo il film, in alcuni passaggi lento e ripetitivo (come se ripetere la stessa scena dovesse far capire meglio), a volte mentre si avvolge su se stesso, a volte sincopato nel montaggio, ci siamo domandati cosa non funziona in questo film. Eppure Isabella Ragonese è convincente e brava, come anche gli altri attori del cast (ma loro forse un po’ banali nella loro monotonia), anche l’ambientazione è “vera” e realistica, e allora? Probabilmente è perché il regista ha scelto un racconto non partecipativo, oggettivamente asettico e in parecchi passaggi più che cinematografico documentaristico, senza esserlo in realtà. L’abbiamo confrontato al cinema degli ultimi, a quello dei fratelli Dardenne, per esempio, al buon cinema indipendente inglese degli Anni Novanta, al cinema estremo ma coinvolgente del compianto Caligari e abbiamo trovato la pecca di un film sbiadito, un po’ fuori fuoco e in fondo sbagliato: manca l’empatia dell’autore per i protagonisti, li mostra in modo così distaccato da non far provare allo spettatore nulla se non dei déjà vu personali quotidiani. Anche la sconfitta su tutta la linea di settori sociali diffusi è descritta più con apatia che non con l’idea di fotografare una classe senza coscienza e senza possibilità.

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Intenso ma solo a tratti

Ma partiamo dal titolo: dovrebbe essere una citazione ironica ma anche rabbiosa della canzoncina di Valeria Rossi del 2001, ma non sembra che un pretesto forzoso come anche il bimbetto che la canta nel bar sulla Tuscolana. Un’altra nota stonata è la buona colona sonora di Stefano Di Battista, ma che è totalmente estranea e invasiva in alcuni momenti. Come troviamo estenuante tutte le corse sull’autobus e in metropolitana della protagonista: narrativamente cosa dovrebbero spiegarci o aggiungere alla storia? Insomma un film solo per brevi tratti intenso e delegato al bel viso della protagonista. Una storia che è solo sulla carta emotiva e intensa, per il resto temiamo che il pur interessante Daniele Vicari (Velocità massima, Diaz) con questo film abbia mostrato un po’ di presunzione: dal cappotto rosso di lei alla Schindler’s list, al ridicolo nome del bar in cui lavora (Rosso relativo) che è un’altra citazione canora, alla storia di fantasia che si aggiunge alla storia vera su una performer in discoteca con incertezze sessuali e una madre borghese che non la capisce ma che alla fine l’accetta in modo buonista ed edulcorato, al modo distaccato e autorale della regia. Un vero peccato, perché il cinema italiano ha un bisogno estremo di storie realistiche che lo ricolleghino alla realtà e a un passato importante e necessario.

Abbiamo visto Sole Cuore Amore, regia di Daniele Vicari. Con Isabella Ragonese, Eva Grieco, Francesco Montanari, Francesco Acquaroli, Giulia Anchisi. Drammatico, durata 113 min. – Italia 2016. – Distribuito da Koch Media uscita giovedì 4 maggio 2017.

Voto: 5

 

Domenico Astuti

(revisione e impaginazione Ivan Zingariello)