Stasera in tv in prima visione Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, con Elio Germano

Stasera in tv su Rai 3 alle 21,20 in prima visione Volevo nascondermi, un film del 2020 diretto da Giorgio Diritti. Protagonista del film è Elio Germano nel ruolo del pittore e scultore italiano Antonio Ligabue. Per la sua interpretazione, Germano ha vinto l’Orso d’argento per il miglior attore al Festival di Berlino 2020 e il David di Donatello 2021 per il miglior attore protagonista. Volevo nascondermi ha vinto sette David di Donatello (Miglior film, Miglior regista a Giorgio Diritti, Miglior attore protagonista ad Elio Germano, Miglior autore della fotografia a Matteo Cocco, Miglior scenografo a Ludovica Ferrario, Alessandra Mura e Paola Zamagni, Miglior acconciatore ad Aldo Signoretti, Miglior suono), un Nastro d’Argento dell’anno e due European Film Awards (Migliore fotografia a Matteo Cocco, Migliori costumi a Ursula Patzak). Con Elio Germano, Oliver Johann Ewy, Leonardo Carrozzo, Pietro Traldi, Orietta Notari, Andrea Gherpelli, Gianni Fantoni, Denis Campitelli, Paola Lavini.

Trama
Il racconto della vita di Antonio Ligabue, pittore naif e immaginifico che dipingeva tigri, gorilla, leoni e giaguari vivendo negli sconfinati pioppeti delle golene del Po. Una vita di durezze che è allo stesso tempo una fiaba: la storia di Toni, un bambino solo ed emarginato che, grazie all’incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati, trovò nella pittura una forma di riscatto per esprimersi e farsi amare dal mondo.

L’atteso film biografico di Giorgio Diritti sul celebre pittore Antonio Ligabue svanisce quasi di fronte all’eccedenza della vita dell’artista. Con ciò si vuole dire che se Volevo nascondermi è interessante, lo è, innanzitutto e per lo più, perché, dovendo riferire i dati salienti di un percorso umano e artistico unico, non ha potuto fare a meno di mettere in scena alcune peculiarità di un uomo che visse al di fuori dei normali rapporti intercorrenti all’interno di qualsiasi formazione sociale. Antonio Costa, poi Antonio Laccabue e, infine, Ligabue, a seguito di una vita difficile e tormentata, di disagi psichici e fisici notevoli, sviluppò una sorta di “mancanza di identità” o, meglio, una “soggettività altra”, laddove il suo resistere eroicamente, si potrebbe dire, alla normalizzazione e il suo porsi prima del linguaggio e dell’ordine simbolico gli provocarono uno sprofondamento emotivo che gli consentì di fondersi felicemente con l’elemento che poi divenne il perenne oggetto d’indagine: la Natura.

È noto che l’artista visse per alcuni periodi della sua vita isolato, a stretto contatto con il paesaggio presso le rive del Po, ed è lì che cominciò a prendere forma il suo “divenir-animale”: con questa espressione si allude a un concetto spesso presente nella filosofia di Gilles Deleuze, laddove il pensatore francese si riferiva al movimento di “deterritorializzazione” necessario a smarcare il muro semiotico del linguaggio per guadagnare quella libertà attraverso cui accedere alla carica propulsiva del desiderio, che, in fin dei conti, costituisce il nocciolo ontologico più profondo della natura umana. Quando vediamo Ligabue seguire gli animali, cercare di imitarne il movimento, i versi e quant’altro, assistiamo proprio al compiersi di quel divenire che gli consentì di superare la rappresentazione: svanisce la dialettica soggetto-oggetto, giacché l’artista, superandosi, diviene esso stesso l’opera.

Ci sono alcuni passaggi in Volevo nascondermi in cui viene mostrato esemplarmente questo momento, cioè quando il pittore, in preda a “felicissimi deliri”, sembra voler balzare sulla tela, congedandosi quasi dalla realtà umana. Come se, riprendendo il “gergo” dell’Alan Badiou de L’essere e l’Evento, retrocedesse magnificamente dalla rappresentazione (linguaggio, ordine simbolico, stasi, potere) alla presentazione (durata emotiva, potenza, movimento, gioia, vita). A questa premessa si riallaccia il bel finale del film (non riveliamo alcunché che possa rovinare la fruizione), in cui la macchina da presa si getta addosso alle tele di Ligabue in maniera commovente, svelando la densità del colore, la saturazione, l’escrescenza, i movimenti dinamici e poetici del pennello: veri e propri brandelli di vita. Il pittore si è donato completamente, non si è risparmiato, svanendo nell’opera, divenendo esso stesso un capolavoro. Come un santo, un martire, un mistico.

A convincere meno, semmai, del buon film di Giorgio Diritti è l’aver un po’ prevedibilmente indugiato, a tratti, sullo “psicologismo” della madre, come se quest’ultima fosse stata la stella del destino dell’artista. Ma Ligabue si era fin troppo presto disfatto degli orpelli del teatro edipico, con tutte le sofferenze e le gioie che tale traiettoria di vita comporta. Elio Germano conferma la sua caratura di attore, regalando una prestazione ineccepibile, in cui si intravede chiaramente il grande lavoro di preparazione e di immersione nel personaggio.

 

 

Luca Biscontini