Stasera in tv Io c’è di Alessandro Aronadio

Stasera in tv su Canale 5 alle 23,40 Io c’è, un film italiano del 2018 diretto da Alessandro Aronadio. Scritto da Alessandro Aronadio, Valerio Cilio, Edoardo Leo e Renato Sannio, con la fotografia di Timoty Aliprandi, il montaggio di Pietro Morana, le scenografie di Daniele Frabetti, i costumi di Cristina La Pàrola e le musiche di Santi Pulvirenti, Io c’è è interpretato da Edoardo Leo, Margherita Buy, Giuseppe Battiston, Massimiliano Bruno, Giulia Michelini. Il film è uscito nelle sale cinematografiche italiane il 29 Marzo 2018 e ha incassato 1.7 milioni di euro.

Trama
Massimo Alberti è il proprietario del “Miracolo Italiano”, bed and breakfast un tempo di lusso ridotto ormai ad una fatiscente palazzina. La crisi che ha messo in ginocchio la sua attività sembra non aver toccato i suoi vicini, un convento gestito da suore sempre pieno di turisti a cui le pie donne offrono rifugio in cambio di una spontanea donazione. Esentasse. Massimo ha un’illuminazione: per sopravvivere deve trasformare il “Miracolo Italiano” in luogo di culto. E per farlo, deve fondare una sua religione. Nasce così lo “Ionismo”, la prima fede che mette l’IO al centro dell’universo. Ad accompagnare Massimo nella sua missione verso l’assoluzione da tasse e contributi, la sorella Adriana, irreprensibile commercialista, e Marco, scrittore senza lettori e ideologo perfetto del nuovo credo.

“Io sono come Dio e potrei rapirvi il cuore, per un attimo”, cantavano i Litfiba quando ancora facevano buona musica. Alessandro Aronadio, dopo il magnifico Orecchie, film divenuto un piccolo fenomeno, azzarda una commedia in cui vengono ridicolizzati apertamente i riti religiosi cui si sottopongono i fedeli di ogni culto presente sul pianeta. L’esposizione al pubblico ludibrio di talune privazioni o imposizioni che inevitabilmente ciascuna confessione comporta sortisce un efficace effetto comico che però, al tempo stesso, innesca una doverosa riflessione nello spettatore. Lo ionismo di cui Massimo (Edoardo Leo) diviene l’involontario rappresentante in terra non richiede l’osservanza di alcun precetto, si limita a fornire suggerimenti non vincolanti, ma soprattutto sposta l’asse dell’adorazione da un’entità fantasmatica, distante, che sfugge alla capacità di presa della nostra comprensione, all’uomo stesso: egli è il suo Dio, noi siamo il nostro Dio. Si tratta, dunque, di guardarsi dentro, di ascoltarsi e di seguire l’istinto.

Aronadio, che è un regista intelligente, seppur su uno sfondo umoristico, allude a tante questioni, anche complesse. Quando diversi interpreti del film si guardano allo specchio, laddove in esso è riflessa l’immagine del Dio che sono, non si può non pensare, magari di sfuggita, al tema spinoso della rappresentabilità. Il Dio cristiano, che è poi è anche quello ebraico, non si è mai mostrato, se non incarnandosi nel Figlio, stessa cosa dicasi per Allah. Se, insomma, si elimina il passaggio dell’Incarnazione, con la decisiva sequenza passione-morte-resurrezione, si provoca una rivoluzione etica-estetica notevolissima, che riformula completamente non solo la tavola dei valori, ma anche il modo di pensare la realtà, poiché non si tenderebbe più a cercare un fondamento (dietro e oltre essa) che la giustifichi, ma la si dovrebbe prendere per quello che è, per come si manifesta.

Allora, al netto delle varie trovate che abbondano in Io c’è, alcune più riuscite, altre meno, Aronadio, ancora una volta, convoca lo spettatore a fare una seria riflessione su quanto cambierebbe il modo di affrontare la vita, magari ottenendo risultati migliori di quelli derivati da un atteggiamento mistico o fatalista, se contassimo solo su noi stessi, in comunione con gli altri, senza cercare un’essenza dietro l’esistenza, per dirla con Sartre. Noi siamo ciò che facciamo, non quel che siamo. Siamo ciò che vediamo (l’immagine riflessa allo specchio). Ci troviamo davanti al paradosso di un invincibile ossimoro: una religione laica. Eppure, anche messi di fronte al pragmatismo di un culto senza precetti, non si può fare a meno di innescare quella sospensione di incredulità, senza la quale non potremmo aderire fino in fondo alle scelte fatte. Aronadio non offre soluzioni (il tema è enorme), si limita a dare corpo a una brillante provocazione attraverso cui cercare di indurre lo spettatore a farsi delle domande. E questo è quanto basta per decretare la bontà complessiva del suo terzo film.

Chi scrive, però, non può sottrarsi al dovere di segnalare che esiste una dimensione del sacro che precede qualunque forma di istituzionalizzazione religiosa, e che contiene un’imprescindibile riserva di senso: forse è quel fuori campo tanto agognato da Pier Paolo Pasolini, ricercato incessantemente nel Mito della Natura: “mito antihegeliano e anti-dialettico, perché la natura non conosce i superamenti. Ogni cosa in essa si giustappone e coesiste”.

Bravi gli interpreti, con una Margherita Buy che con umiltà accetta di fare spazio al vero protagonista della storia, e un Giuseppe Battiston sempre efficace, incisivo e divertente. Edoardo Leo rifà ancora una volta se stesso: sembra uno che si trova nei film quasi per caso e, in questo senso, offre al pubblico una perfetta opportunità d’immedesimazione.

 

 

Luca Biscontini