Stasera in tv Velluto blu di David Lynch

Stasera in tv su iris alle 23,30 Velluto blu, un film del 1986 scritto e diretto da David Lynch. Il titolo originale è tratto dall’omonima canzone di Bobby Vinton, cantata nel film da Isabella Rossellini in un locale notturno, lo Slow Club. Velluto blu introdusse diversi elementi poi diventati frequenti nella filmografia di Lynch, come la presenza di donne vittime di abusi, l’aspetto torbido delle piccole città e l’utilizzo non convenzionale di canzoni d’epoca (Blue Velvet di Bobby Vinton e In Dreams di Roy Orbison sono eseguite in modo ossessivo in scene molto forti). Le tende rosse fanno da sfondo in scene chiave, e diventeranno un marchio di fabbrica del regista. Velluto blu segna inoltre l’inizio della collaborazione di Lynch col compositore Angelo Badalamenti, che contribuirà in molti dei suoi lungometraggi. La versione finale del film dura 120 minuti e fu ottenuta tagliando l’originale della durata di 4 ore. Il materiale eliminato, anche se fu archiviato, per molti anni venne ritenuto perduto fino a quando, nel 2011, Lynch annunciò di averlo ritrovato. Il materiale venne quindi incluso nel Blu-ray del film. Con Kyle MacLachlan, Isabella Rossellini, Dennis Hopper, Laura Dern, Hope Lange, Dean Stockwell, George Dickerson, Priscilla Pointer.

Trama
Il ritrovamento di un orecchio umano in un prato porta il giovane Jeffrey (Kyle MachLachlan) a indagare su un affare sporco che coinvolge una cantante di night-club (Isabella Rossellini) e un gruppo di criminali che hanno rapito suo figlio. Lo aiuterà la figlia di un detective (Laura Dern).

Blue Velvet è una canzone di Bobby Vinton scritta negli anni Cinquanta, che io ho scoperto e amato negli anni Sessanta. Una canzone che mi ha ispirato un certo stato d’animo. Quanto al velluto è un materiale straordinario, sensuale, ricco, pesante… quasi organico”.
(David Lynch)

“La morte (…) è parte integrante del regime di ‘attrazione’ messo in atto da una certa visione cinematografica. È una lezione hitchcockiana di cui si ricorderà Lynch, anche in un film come Velluto Blu. Si prenda lo straordinario incipit della pellicola: sul tessuto ordinario ed eccessivamente ordinato di una tranquilla cittadina americana, tra prati troppo verdi e fiori volutamente troppo colorati, sorge inattesa la minaccia della morte, che l’occhio di Lynch coglie però con una prassi sottilmente differente da quella di Hitchcock. In quest’ultimo, la regia vuole mantenere costante o addirittura alimentare il regime di attenzione per il dettaglio e l’ossessione che ne consegue, fedele a una tensione fatta di paura e desiderio, a una promessa di suspense che il regista non può disattendere. Laddove invece Lynch riesce paradossalmente a unire la forza dell’attenzione con il disinteresse della distrazione, lo shock di un orrore visto troppo da vicino con l’indifferenza di uno sguardo distante, quasi di sorvolo. Per questo l’enormità del dettaglio più schifoso – un livido orecchio mozzato, l’agonia di un uomo o un brulicare di insetti mostruosi – può alternarsi con la banalità di un annaffiatoio, con il rito del tè tra signore o il primo piano di un cagnolino scodinzolante. La regia lynchana rende ‘normale’ la dialettica dell’attrazione e della repulsione e mostra l’impazzimento di una realtà in cui non si capisce se è l’irruzione dello strano nel familiare a contare, o se invece è la mutazione di uno strano divenuto troppo familiare a dettare l’ordine dello sguardo. C’è infatti di più della confusione tra immagine e realtà, verità e finzione. Qui la favola più innocua contiene l’oscenità più adulta, allo stesso modo in cui la perversione del detective voyeur si accompagna ora a uno sguardo più che innocente, quasi infantile, capace di appassionarsi per un glamour posticcio e di cattivo gusto, come il corpo di Isabella Rossellini, la modella Lancôme che Lynch dipinge con make up stinto, decomposto. Segno dei tempi, di un delirio dell’immaginazione e dell’immaginario, rispetto al quale la regia cinematografica si pone come ultima, eccentrica, testimonianza”.
(Michele Fadda (Catalogo della rassegna Coppie di fatto, Cineteca di Bologna)

“Da Velluto Blu si esce agghiacciati e oppressi da imprecisati incubi del passato. C’è un universo di mostri, desideri e perversioni (comune a tutti noi) che giace, dai tempi della nostra permanenza nell’utero, oscurato sotto il livello attivo della coscienza, per risvegliarsi apertamente di notte nel sogno e per determinare oscuramente tutta la storia dei nostri rapporti personali. Velluto blu è chiaramente un sogno edipico; dice senza perifrasi che, per crescere, bisogna uccidere il padre (Dennis Hopper) e fare l’amore con la madre (Isabella Rossellini). Affinchè non ci siano dubbi in proposito, il regista fa applicare a Dennis Hopper durante i suoi deliri erotici la mascherina ad ossigeno che il vero padre ha sul viso nel suo letto d’ospedale e fa dire al furibondo ex-fidanzato di Sandy, alla vista di Isabella Rossellini nuda fuori dalla casa di Jeffrey, “Chi è questa, tua madre?”. A questi, affianca una miriade di altri indizi espliciti. Ancora una volta, però, se Velluto blu fosse solo una contorta ma palese metafora edipica (che pure è, come è anche un attacco alla società americana, molto più feroce di quanto sia stato giudicato; il tutto riscritto in nero), sarebbe più divertente che inquietante, più tradizionale che misterioso; un buon film, comunque, ma non un film così radicalmente nuovo”.
(Emanuela Martini, Cineforum n. 260 Dicembre 1986)

 

 

Luca Biscontini