STEFAN MILENKOVICH ED IL TEATRO ROSSINI: UN FEELING CHE DURA DA ANNI

Quando mi chiese di orchestrare della musica di Pergolesi per un balletto, pensai che fosse diventato matto”- così Igor Stravinskij (Lomonosov,1882- New York,1971) commentò l’idea propostagli dall’impresario Diaghilev, nel corso di una passeggiata a Parigi, in un pomeriggio di primavera del 1919. L’impresario voleva creare uno spettacolo coreografico su musiche di Giovanni Battista Pergolesi (Jesi,1710 -Pozzuoli,1736) sulla scia della positiva esperienza del balletto Le donne di buon umore (realizzato sulla base delle musiche di Scarlatti, orchestrate da Vincenzo Tommasini), nonché della Boutique Fantasque (ideato con musiche di Rossini orchestrate da Respighi). Suggerì pertanto all’amico di scrivere una partitura servendosi di alcune musiche del compositore marchigiano, in parte edite ma rare, in parte completamente sconosciute.

Stravinskij iniziò a lavorare su “quei numerosi frammenti e brandelli di opere incompiute o appena abbozzate, che avevano avuto la fortuna di sfuggire ai filtri dei redattori accademici” e che gli fecero “sentire sempre di più la vera natura di quel musicista, e discernere in maniera sempre più netta la sua prossima parentela spirituale e, per così dire, sensoriale, con lui”.

Oltre all’interesse per quella musica, Stravinskij era attratto anche dalla presenza di Pablo Picasso e Léonide Massine, che erano stati chiamati a collaborare alle scene ed ai costumi (il primo) ed alla coreografia (il secondo). La ricerca musicologica ha successivamente dimostrato che solo 9 dei 18 pezzi scelti dal Compositore sono attribuibili a Pergolesi: 5 brani della commedia musicale Lo frate ‘nnammorato (Napoli 1732), due brani dalla commedia musicale Il Flaminio (Napoli 1735), un brano dal dramma serio Adriano in Siria (Napoli 1734), un frammento dalla cantata per soprano, archi e basso continuo Luce degli occhi miei, nonché il finale della Sinfonia in fa maggiore per violoncello e basso continuo.

Nella vasta produzione di Stravinskij, Pulcinella viene considerata l’opera capostipite della fase cosiddetta neoclassica, oltre all’ esempio più eclatante della poetica dei recuperi della musica del passato, della cosiddetta “musica al quadrato“. Dopo la prima diretta da Ernest Ansermet all’Opera di Parigi il 15 maggio 1920, ci fu chi parlò del “gusto da cleptomane del musicista russo” e chi giudicò Pulcinella solo un’abile trascrizione. Ma il grande successo che ottenne, spinse due anni dopo il Compositore a rielaborare la partitura in una Suite da concerto: eliminò tutte le parti vocali e le sostituì con linee strumentali, oltre a ridurre i movimenti da 18 a 8. Fu presentata il 22 dicembre 1922 dall’Orchestra sinfonica di Boston diretta da Pierre Monteux. Il pubblico del Rossini ha potuto ascoltarla grazie all’Orchestra Filarmonica Marchigiana diretta da David Crescenzi nel corso dell’11°appuntamento della 55a stagione concertistica ideata dal Comune e dall’Ente Concerti di Pesaro: un vero “miracolo di sapienza ricostruttiva ed equilibrio estetico” , come recitano le note di sala.

La seconda parte della serata é stata ancora più bella perché affidata alla straordinaria sensibilità del violinista Stefan Milenkovich, uno dei migliori virtuosi del nostro tempo. Il pubblico del Rossini ammira molto Milenkovich (Belgrado, 1977) anche perché l’ha conosciuto da bambino: l’Ente Concerti custodisce una sua foto durante un concerto. Ha i capelli castani pettinati a caschetto e fa molta tenerezza. Stefan ha iniziato lo studio del violino a 3 anni ed ha vinto il primo premio alla Jaroslav Kozian International Violin Competition all’età di 7. All’anno successivo risale il suo debutto discografico, cui fanno seguito concerti in tutta Europa, Israele, Estremo Oriente, Sudamerica, Cina e Australia. Impegnato nella didattica, nel 2002 è stato assistente di Itzhak Perlman alla Juilliard e al De Lay Institute di New York, prima di accettare l’attuale incarico di Professore di violino all’Università dell’Illinois Urbana-Champaign (USA). È impegnato anche in cause umanitarie e nel 2003 gli è stato attribuito a Belgrado il riconoscimento Most Human Person. Ha inoltre partecipato a numerosi concerti patrocinati dall’UNESCO a Parigi, esibendosi al fianco di Placido Domingo, Lorin Maazel, Alexis Weissenberg e Sir Yehudi Menuhin.

Per l’occasione Stefan ha scelto il Concerto per violino e orchestra in re min. op. 47 di Jean Sibelius, compositore e violinista finlandese. Sibelius lo compose fra il 1903 e il 1904, sforzandosi di sintetizzarvi tutto quanto sapeva in fatto di tecnica violinistica e costellando la partitura di effetti mirabolanti. Il risultato fu quello di scoraggiare tutti gli esecutori interpellati: il Compositore non poteva suonarlo personalmente, essendo ormai fuori esercizio e incapace di sostenere il confronto con una simile ostentazione di difficoltà. La sfida fu raccolta dal giovane violinista boemo Victor Novàcek che tenne a battesimo il lavoro sotto la direzione dell’autore a Helsinki l’8 febbraio 1904. L’accoglienza fredda che ottenne indusse il Compositore ad addolcire ed alleggerire l’opera che fu presentata a Berlino nel 1905 dal violinista Karl Halir : sul podio c’era Richard Strauss. Da allora  non gli sono più mancati il favore del pubblico e l’attenzione dei maggiori violinisti. L’Allegro finale mi è piaciuto in particolare: ha il carattere di una danza martellante e selvaggia, mentre la parte conclusiva ha il sapore di un’ascesa verso una sorta di trascendenza, con il violino che sale fino alle zone più acute della sua tessitura e l’orchestra che lo sostiene con accordi decisi ed affilati.

Stefan possiede in massimo grado intelligenza interpretativa, unitamente ad una grande tecnica strumentale: decisamente un programma per palati fini!

Paola Cecchini