STORIA DEL CINEMA HORROR ITALIANO: ANTONIO TENTORI CI RACCONTA “MDC” MASCHERA DI CERA DI SERGIO STIVALETTI

Care amiche e cari amici di mondospettacolo, chi mi conosce sà che una delle mie tante passioni è il cinema horror!!

Ebbene con questo articolo voglio riproporvi il primo Film di Sergio Stivaletti “MDC MASCHERA DI CERA”.

Voglio farlo presentandolo con la recensione di uno dei più grandi scrittori e sceneggiatori del cinema Italiano Antonio Tentori!!!

Buona lettura e buona visione per tutti coloro che lo vedranno o lo rivedranno!!!

Alessandro Cunsolo

MDC-Maschera di cera (1997)

Regia: Sergio Stivaletti.

Soggetto: Dario Argento, Lucio Fulci, Daniele Stroppa.

Sceneggiatura: Lucio Fulci, Daniele Stroppa.

Fotografia: Sergio Salvati.

Musica: Maurizio Abeni.

Scenografia: Antonello Geleng.

Effetti speciali:  Sergio Stivaletti, Benoit Lestang, Benoit Squizzato.

Interpreti: Robert Hossein, Romina Mondello, Riccardo Serventi Longhi, Gabriella Giorgelli, Aldo Massasso, Valery Valmond, Umberto Balli.

Parigi, 1900. La notte del primo giorno del nuovo secolo una coppia viene rinvenuta atrocemente uccisa e mutilata da un assassino misterioso, munito di un arto di ferro. L’unica superstite è Sonia, una bambina figlia della coppia, testimone impotente della strage.

Roma, tredici anni dopo. Il giovane Luca scommette di trascorrere un’intera notte nel nuovo Museo delle Cere, dove vengono riprodotti con macabra cura i più terribili delitti. Qui, però, perde la vita, apparentemente per un infarto. Boris Volkoff, proprietario del Museo, insieme al suo aiutante Alex, decide cinicamente di sfruttare questo tragico evento, aprendo al pubblico il Museo delle Cere. Sonia, che assomiglia stranamente alla moglie defunta dell’uomo, è assunta da Volkoff come collaboratrice e contemporaneamente viene perseguitata dall’incubo della sua infanzia. Conosce Andrea, un intraprendente giornalista che sta indagando sulla morte di Luca: tra i due nasce una reciproca attrazione. Il mistero è celato nel drammatico passato dello stesso Volkoff: alchimista originario di Praga e primo marito della madre di Sonia, che aveva sorpreso con il suo amante. Nel corso della lotta con questi era precipitato in un calderone ribollente, da cui era emerso orrendamente sfigurato. Aveva assassinato la moglie infedele e l’amante poi, nel corso del tempo, si era nascosto dietro maschere costruite da lui stesso. Vengono assassinati anche un bambino, una giovane prostituta e un commissario francese giunto a Roma per indagare su Volkoff. Sonia, infine, scopre che l’artefice di ogni crimine è Volkoff, che trasforma le sue vittime in statue animate meccanicamente. La ragazza sta per subire la stessa sorte, ma viene salvata in extremis da Andrea, mentre un incendio avvolge il Museo delle Cere. Ma Boris Volkoff non è morto…

MDC-Maschera di cera (1997) è il primo film diretto da Sergio Stivaletti, fino a quel momento conosciuto per il suo importante lavoro svolto nell’ambito dei trucchi e degli effetti speciali in molti horror e thriller italiani. L’idea del film nasce dall’incontro tra due maestri del cinema fantastico e del terrore riuniti per la prima volta insieme: Dario Argento e Lucio Fulci, il primo produttore e il secondo regista del progetto. Ma Fulci scomparve improvvisamente poco prima dell’inizio del film e, in un secondo momento, la regia passò a Sergio Stivaletti,  stretto collaboratore di Argento a partire da Phenomena, il quale all’inizio si sarebbe dovuto occupare soltanto degli effetti speciali.

Il film viene infine dedicato a Lucio Fulci.

Inizialmente Argento e Fulci pensavano di realizzare un remake di La Mummia, un altro celebre classico del cinema dell’orrore poi, per una serie di circostanze, optarono per il breve racconto dello scrittore Gaston Leroux Il museo delle cere, sulla cui base Argento, Fulci e Daniele Stroppa hanno scritto il soggetto e quindi la sceneggiatura (opera di Fulci e Stroppa). Ma solo l’inizio del film (la scommessa di passare una notte intera al Museo delle Cere), appartiene al racconto.

La vicenda di Maschera di cera, sia pure con le dovute differenti variazioni, è stata già trasformata per il grande schermo in due altre occasioni: il film di Michael Curtiz La maschera di cera (Mistery of the Wax Museum,1933), protagonista Lionel Atwill, e House of Wax (1953) per la regia di Andre De Toth e l’interpretazione del grande Vincent Price, autentica icona del cinema horror. Nella versione di Stivaletti, invece, lo spaventoso mad doctor Boris Volkoff è perfettamente impersonato dall’incisivo Robert Hossein, mentre gli altri efficaci interpreti principali sono Romina Mondello (Sonia) e Riccardo Serventi Longhi (Andrea), senza dimenticare le ugualmente notevoli interpretazioni di Gabriella Giorgelli (la zia cieca di Sonia), Aldo Massasso (il commissario francese) e Umberto Balli (Alex, l’aiutante di Volkoff). Almeno un cenno va fatto anche per la parte tecnica, dalle indovinate e attente scenografie di Antonello Geleng alla preziosa fotografia di Sergio Salvati (storico collaboratore di Fulci), fino alla struggente e ispirata colonna sonora di Maurizio Abeni.

In MDC-Maschera di cera non mancano certo riferimenti alle sopracitate precedenti pellicole (da notare, inoltre, la locandina del prototipo L’uomo delle figure di cera, di Maurice Tourneur), ma si limitano essenzialmente all’ambientazione storica, al museo degli orrori dove le statue sono in realtà cadaveri e al personaggio dello scienziato folle e sfigurato. Il film di Stivaletti, esauriti questi inevitabili accostamenti, si presenta come opera del tutto a se stante, che rilegge in chiave personale un classico del gotico. Nell’atmosfera inquietante e fantastica del Museo delle Cere, dove si svolge gran parte della pellicola, una giovane donna rivive il suo terribile trauma infantile, mentre un mostro crudele e perverso tesse intorno a lei una terrificante ragnatela di paura e di morte. La notevole abilità di Stivaletti è quella di essere riuscito a realizzare un puro horror gotico in costume (e questo è un aspetto non indifferente, dal momento che la ricostruzione scenografica e l’atmosfera dei primi del Novecento risultano storicamente ottime e narrativamente coinvolgenti), mantenendo fondamentalmente intatta la dimensione macabra, crudele e visionaria ideata da Fulci, ma impreziosendola con l’invenzione di un orrore cibernetico che conferisce un convincente lato moderno alla vicenda medesima. A questo proposito, oltre alla raffigurazione finale dello spaventoso robot e ai vari elaborati effetti speciali che appaiono nel corso della storia, è importante ricordare anche il complesso procedimento mediante il quale il mad doctor trasforma le sue vittime in statue del Museo delle Cere, condannandole crudelmente a una sorta di angosciante vita virtuale.

L’aspetto orrorifico, insito principalmente nel Museo delle Cere e nel laboratorio del mad doctor, viene però visualizzato anche diversamente, in altri momenti del film. A cominciare dalla strage di Parigi, dove le due vittime sono massacrate davanti alla loro piccola figlia, alla dimensione gelida dell’obitorio, dove invece una bambina vittima del mostro si risveglia dalla sua morte apparente.

Dopo l’eccidio di Parigi, il film si apre subito all’insegna della paura, con la scommessa di passare una notte al Museo delle Cere: all’avventato giovane che vi entra è destinata una fine improvvisa, non prima di essere stato terrorizzato dalle incombenti statue che abitano il Museo. Tra le diverse scene in cui la tensione è dispiegata in maniera quasi insostenibile spicca la sequenza ambientata nella casa abbandonata dove si reca Giorgina, in cui tutti gli specchi sono infranti e il mostro è in agguato; così come la morte del commissario francese, assassinato dal suo doppio. Non mancano, poi, momenti dove domina la crudeltà più spietata: l’aggressione dell’uomo nero al bambino nel parco, dove una mattinata felice si trasforma in un incubo senza via di uscita; la successiva aggressione notturna alla bambina, in cui ombre inquietanti si disegnano spettralmente sulle pareti e l’allucinante silouette dell’uomo nero si staglia minacciosa sulla piccola vittima. Né è da dimenticare la violenta scena in cui la giovane protagonista viene rapita e legata in una stanberga su un tavolaccio, ferita e lasciata in mezzo a un ripugnante branco di maiali.

La sensualità e l’eros hanno un ruolo non secondario nel racconto: risalta innanzitutto l’insana attrazione che il proprietario del Museo delle Cere nutre per la sua giovane lavorante, acuita dal fatto che la ragazza è molto somigliante all’infedele consorte e che, forse, potrebbe essere addirittura sua figlia. Ciò nonostante l’uomo non esita a desiderarla e a spiarla, anche nei suoi momenti di intimità con il suo innamorato, rivivendo così l’adulterio della moglie e il proprio tragico epilogo. Ma l’amore delirante del minaccioso personaggio prevede anche per l’oggetto del suo desiderio la medesima fine riservata alle altre vittime: essere congelata nell’attimo supremo della propria bellezza e trasformata per sempre in una delle statue del Museo.

E’, inoltre, da ricordare l’ambiguo rapporto costituito da complicità diabolica, non priva di una torbida componente omosessuale, e violenza sadomasochista che lega indissolubilmente tra loro il mad doctor e il suo aiutante. Una relazione così ambigua che viene abilmente giocata nel finale stesso del film, laddove i ruoli si confondono appositamente e si sostituiscono: il robot che viene distrutto viene creduto da tutti l’orribile scienziato, mentre invece si tratta del suo servo, che si era alla fine ribellato al suo padrone per poi venire da questi annientato.

Sempre riguardo a tematiche di erotismo perverso, si segnala la scena sadomaso tra Alex e Giorgina, la prostituta bionda del bordello voyeuristicamente spiata da Volkoff, come anche le ragazze seminude legate nel laboratorio dello scienziato per essere sottoposte all’atroce trasformazione in statue viventi.

Per quanto riguarda la figura del mad doctor, si nota fin da subito la sua diversità rispetto a quella delle precedenti versioni: non si riduce, infatti, a un semplice costruttore di manichini e di statue impazzito in seguito a un incidente, ma di un alchimista nato a Praga, di un grande inventore che utilizza la propria arte in maniera demoniaca, di un assassino implacabile in grado di assumere altre identità in qualsiasi momento. Non solo, poiché lo scienziato, come suggeriscono incisivamente gli stessi alchimistici titoli di testa in cui mani guantate di nero preparano esperimenti segreti, non è un essere umano, ma un mostro infernale e robotico, che non può morire.

Non è un caso, infatti, che i soli e rari momenti di vera umanità da parte di questo terribile personaggio si hanno nei lancinanti flashback del suo passato, suggestivamente virati in seppia, laddove l’amore e la mostruosità si fondono in un unico, insopportabile dolore.

Se, da una parte, MDC-Maschera di cera si ricollega idealmente al gotico italiano sia nella figura della giovane protagonista in cui, per il folle proprietario del Museo, si materializza fatalmente la moglie da lui stesso assassinata, sia nei rimandi letterari (Leroux, ma anche Poe), dall’altra parte se ne distacca creando uno stimolante ibrido tra horror, fantastico-cyber e thriller, dominato da una continua tensione, fra terrori psicologici contaminati con orrori viscerali e seduzioni erotiche sadicamente raffinate.

Antonio Tentori