The grudge: rancore horror da terzo millennio

In Italia il titolo The grudge ha cominciato ad avere una certa risonanza a partire dal Gennaio del 2005, quando approdò nelle sale cinematografiche l’omonima pellicola diretta dal giapponese Takashi Shimizu e interpretata dall’ammazzavampiri Buffy Sarah Michelle Gellar, ma che, in realtà, altro non era che il rifacimento made in USA del Ju-On – Rancore realizzato tre anni prima dallo stesso regista.

Il Ju-On – Rancore che fu la rilettura per il grande schermo di una mini-serie televisiva shimizuiana incentrata su una dimora maledetta abitata da spettri e al quale sono poi succeduti sia Ju-On 2 – La maledizione, per la regia del buon Takeshi, che Ju-On: White ghost di Ryûta Miyake, Ju-On: Black ghost di Mari Asato, Ju-On: The beginning of the end e Ju-On: The final curse di Masayuki Ochiai.

Senza contare La battaglia dei demoni di Kôji Shiraishi, cross over datato 2016 tra il franchise nipponico The ring e la saga creata da Shimizu, il quale aveva nel frattempo ricoperto il ruolo di produttore esecutivo nello stright to video The grudge 3 di Toby Wilkins, dopo essere tornato dietro la macchina da presa per The grudge 2, sfornato dalla stessa Ghost House Pictures che si era occupata del remake yankee.

La Ghost House Pictures di Sam Raimi e Robert Tapert, artefici de La casa, alla quale si deve anche questo reboot affidato al Nicolas Pesce autore dell’horror thriller Piercing e che, ovviamente, riguarda ancora una volta una dimora legata alla maledizione di una persona che muore in preda a una collera furiosa che si accumula, per poi scatenarsi nei luoghi in cui è vissuta, facendo morire tutti coloro che la incontrano.

Dimora su cui indaga in questo caso una poliziotta dalle fattezze di Andrea Riseborough; man mano che continui spostamenti temporali tra 2006, 2004 e 2005 provvedono a cercare di replicare la struttura narrativa tutt’altro che lineare che, al fine di disorientare lo spettatore per risucchiarlo in una inquietante atmosfera e ricordare che il sentimento della paura può essere suscitato in qualsiasi momento senza ricorrere a contesti ben precisi, aveva caratterizzato il capostipite.

Struttura che, però, finisce qui soltanto per confondere continuamente lo sviluppo della vicenda, strizzante l’occhio ai fan del genere tirandone in ballo volti noti, dalla Lin Shaye della serie Insidious ad un detective sfigurato incarnato dal mitico William Sadler, che qualcuno ricorderà nei telefilm e lungometraggi Racconti dalla cripta.

Quindi, se il remake con la Gellar si rivelò un apprezzabile tentativo di fondere la cultura della paura orientale con quella occidentale, il The grudge 2020 altro non è che l’ennesimo campionario di prevedibilissimi jump scare e apparizioni improvvise che, in parte spruzzato di splatter (abbiamo un mozzamento di dita e un corpo che si sfracella al suolo cadendo dall’alto), individua il proprio maggiore pregio nella breve durata (siamo poco sopra l’ora e mezza)… lasciando tranquillamente avvertire la totale mancanza di idee e di fantasia che ha finito per attanagliare nel terzo millennio i fotogrammi del terrore, sempre più rappresentati da banali e noiose ghost story quasi indistinguibili nel mucchio.

 

 

Francesco Lomuscio