GEDDO: un nuovo disco ricco di collaborazioni

Ascoltando questo nuovo disco di Davide Geddo si ha un misto di emozioni e di sensazioni, dalle volute melodiche di Fossati dalle belle incisioni di drumming come in “Parlandone dal vivo” o “A colpi di Karate”… o quelle intonazioni dylaniane che trasudano di istinto e di verità dentro un arpeggio e una forma canzone che non lascia troppo spazio ad altre interpretazioni come nella bellissime “Differenze”. E non mancano derive inaspettate come quel pennellare funk di “Fino all’alba” o quelle didattiche battistiane che insomma rendono questo disco un vero contenitore di vita, di esperienza, di ascolti e di tutto quel corredo di stile che un cantautore di carriera come Geddo è in grado di portare in scena. Un nuovo disco che porta con se anche la preziosa voce di amici e colleghi: Fabio Biale, Paolo Bonfanti, Roberta Carrieri, Sergio Cocchi, Lorena De Nardi, Nico Ghilino, Folco Orselli, Michele Savino, Federico Sirianni, Rossano Villa, Alberto Visconti, con la collaborazione di Matteo Ferrando alla batteria, Dario La Forgia al basso e Mauro Vero alle chitarre.

Noi parliamo spesso di bellezza e non solo di quella da vedere, superficiale, d’apparenza. Anzi. Per Davide Geddo cos’è la bellezza?
La bellezza è un modo di apprezzare il mondo. E’ l’incanto della vita che si svela ad uno sguardo predisposto. La bellezza è un fatto di attenzione, un saper cogliere, un accorgersi. Una prontezza nella capacità di apprezzare e una profondità nell’innamorarsi. Un innamorarsi che è corsa, entusiasmo, lasciarsi andare e lasciare se stessi per aderire all’altro o al “dall’altrui fatto”. La bellezza è soprattutto perdersi, smarrirsi negli altri o nell’arte. Non esiste senza una predisposizione all’altro, ma esiste oltre le nostre capacità di saperla vedere.

Estetica ed etica. Concetto certamente troppo profondi per poterli affrontare qui. Ma l’annoso problema tra l’essere e l’apparire… come lo vivi e che tipo di equilibrio raggiungi?
L’essere e l’apparire si confondono nella performance ma non è un caos; è un gioco di equilibrio e di fatalità. Il conflitto tra l’essere e l’apparire nella mia concezione artistica viene risolto dall’autenticità. Non ho il dovere di essere veramente io o di apparire un supereroe. Ma posso partire da ciò che sono e magari tracciare un’immagine di chi vorrei essere. Ma nei confronti di una persona sconosciuta che mi dona la propria attenzione ho il dovere di rendere un momento di autenticità che possa essere specchio anche per quella persona. Ho l’ambizione che questo specchio abbia la capacità di non riflettere solamente le realtà evidenti ma anche quelle invisibili o nascoste. E’ per questo che il mio mestiere è andare oltre quello che si vede.

Dunque per Geddo quando una canzone si può dire finita?
Comporre è un mestiere oscuro, invisibile. Forse un mestiere che neanche esiste se poi non trova un momento di rappresentazione per ciò che è stato creato. Il momento della rappresentazione svela la forza di una canzone e costituisce l’ultimo momento di verifica. Se la prima rappresentazione a terzi funziona la canzone può dirsi finita; se no di solito si fa in modo di avere ancora il margine per qualche modifica. Però quando una canzone finisce rinizia. Inizia la storia del suo essere suonata in mezzo agli altri e per gli altri. È un nuovo percorso in cui spesso le canzoni cambiano anche sensibilmente. Io, tra l’altro sono solito esibirmi in diverse formazioni pertanto le canzoni assumono continuamente nuove forme ed energie.

Ed il gusto popolare, visto che di pop d’autore si parla, quanto condiziona le tue scelte estetiche?
Ho un buon rapporto con il gusto popolare. Non mi pongo il problema di essere orecchiabile o meno. Mi interessa l’efficacia di quello che propongo e la struttura del Live. Lego sempre di più la composizione alla performance e anche se è una direzione che posso sempre cambiare e non escludo di realizzare prima o poi un album più ostico, resto convinto che comunque un brano debba anche contenere una chiave di lettura semplice. Il gioco è andare oltre.

Dentro “Fratelli”, se mi permetti, ci ho letto anche tanta “rabbia”… le virgolette sono d’obbligo… sono fuori pista vero?
Non sei per niente fuori pista. La fratellanza, la somiglianza, il riconoscersi, il resistere non sono concetti armoniosi o idilliaci di per se. Volevo che uscisse anche il sangue, la volontà, la disperazione. Non vedo la canzone come un quadretto rassicurante; chiedo sempre di più e possibilmente un pelo di abrasività e l’evidenza di qualche graffio anche solo per lasciare qualche segno.

Dentro “Fratelli”, sempre se posso azzardare, ci ho visto un suono libero e delle estetiche davvero distaccate dal giudizio popolare… che ne dici?
Non ho logiche promozionali da mantenere; la mia povertà è la mia libertà. Ci mancherebbe che al mio livello la strategia possa essere talmente importante da condizionarmi. Ho un nutrito e crescente manipolo di fan che si aspetta di non essere imboccato da canzonette di sottofondo. Tento con umiltà e consapevolezza di alzare l’asticella senza sbrodolarmi in patetici personalismi ma senza dimenticare che sto costruendo la mia piccola grande storia.